Violenza di Stato: da vittime di violenza sessuale a vittime del sistema giudiziario italiano

Il fenomeno dello stupro è figlio di una storia meschina, in cui ha sempre prevalso la logica della sopraffazione e dell’impunità, a prescindere dall’evoluzione culturale e storica che ha caratterizzato un popolo. Ne sono esempio le sentenze che negli ultimi giorni hanno infiammato i social e non solo. Infiammare è forse il termine che più calza per indicare il sentimento di autocombustione che può provare una vittima di violenza sessuale in una situazione in cui, dopo esservi precipitata contro la propria volontà, si augura quantomeno che il resto del mondo risponda alle logiche proprie di un popolo civile e umano, ma ciò non accade. 

L’ultimo caso ha visto come protagonista una diciannovenne, vittima di uno stupro di gruppo commesso da sette ragazzi la notte del 7 luglio a Palermo. Uno di loro, all’epoca del fatto minorenne, ha confessato di aver partecipato alla violenza, ed è stato scarcerato e portato in comunità grazie “all’atteggiamento collaborativo”, come dichiarato dal gip. È già stato presentato ricorso dalla Procura, ma l’indignazione collettiva non ha tardato a scatenarsi.

Le pronunce dei giudici

 

Dalle sentenze che da giorni impegnano i titoli del panorama mediatico italiano, si evince un clima di generale insensibilità ed estraneità da parte dei giudici rispetto alla gravità delle condotte protagoniste dei giudizi finiti nel mirino dell’opinione pubblica. In certi casi, una violenza sessuale può smettere di essere considerata tale se non rientra perfettamente in parametri assurdamente soggettivi, come possono esserlo un limite temporale minimo attribuibile ad una palpata o il fraintendimento di un esplicito consenso negato. 

É così che la violenza non incontra una fine. É così che la denuncia smette di essere uno strumento al servizio delle vittime, ma diventa un ulteriore fattore di paura legato all’imprevedibilità della reazione di carnefici e garanti. Il rischio è prevedibile: la prospettiva di un progressivo isolamento delle vittime è il risultato di una perdita sempre maggiore di fiducia nei confronti delle Istituzioni e della Giustizia, che non accennano ad essere il motore del cambiamento. Soprattutto quando di fronte una richiesta di disperato aiuto, l’unica risposta data concorre al dispiegarsi di ulteriore violenza.

In Italia, per poter essere tutelata, una donna che ha subito uno stupro deve sperare che sussistano le condizioni per un’umana comprensione del fatto e che il giudice sia sufficientemente competente in materia, così da poterne dare una corretta interpretazione. Il confine tra garantismo e giustizialismo in questi casi è labile abbastanza da consentire ai veri colpevoli di sfuggire alle maglie della giustizia, e lasciare le vittime di un’azione ignobile in uno stato di disarmante disillusione. 

L’aumento di violenza di genere

Ad animare il dibattito è anche la percezione collettiva di un progressivo aumento della violenza ai danni delle donne. Non passa giorno che ad un episodio di stupro, stalking, tentato omicidio o femminicidio non sia dedicato un pezzo in prima pagina. Dai 4884 casi del 2019, si è arrivati ai 5991 del 2022. Secondo il report del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Viminale “Donne vittime di violenza”, si registra infatti “un significativo incremento sia dei delitti commessi che della propensione alla denuncia”. 

Le sentenze legate a questi episodi sono in alcuni casi, troppi, fonte di ulteriore violenza ai danni non solo delle vittime dirette, ma di milioni di cittadini, alla ricerca di punti di riferimento introvabili. No, non sono inciampi giudiziari o goliardia tra uomini. É lo specchio di una realtà che ci coglie impreparati di fronte ad una violenza apparentemente inarrestabile, sprovvisti di strumenti di difesa adeguati e di garanti opportunamente formati nel rispetto delle regole di civiltà. È un sistema Paese che sta fallendo nel tutelare la sicurezza della popolazione femminile. Vale a dire mezza Italia.