Il fair-play finanziario è una misura introdotta dalla UEFA nel 2010 che mira a migliorare le condizioni finanziarie generali del calcio europeo. L’idea nasce dal fatto che le disparità tra le società sono sempre più spesso dovute ad un fattore economico piuttosto che ad uno sportivo. Da quel momento le squadre che si qualificano alle competizioni UEFA devono dimostrare di non avere debiti insoluti verso altri club, giocatori e autorità socio-fiscali per tutta la stagione, potendo spendere al massimo 5 milioni di euro in più rispetto ai ricavi in ogni periodo preso in considerazione, della durata specifica di 3 anni. Dal 2013, i club devono rispettare requisiti di BEP – Break Even Point – che consiste nel richiedere ai club di bilanciare le spese con i ricavi e ridurre i debiti, pena l’emissione di sanzioni che vanno dal semplice avvertimento fino alla squalifica dalle competizioni UEFA e alla revoca di un titolo vinto “sul campo”.
Tuttavia, questo progetto ha avuto l’effetto opposto rispetto a quello prefissato, in quanto si ritiene che esso abbia contribuito ad aumentare la distanza tra i club in possesso di grandi risorse economiche a discapito di quelli meno abbienti, oltre che a provocare il risentimento dei club virtuosi e rispettosi delle regole di fronte alle spese folli dei top club europei.
Per questo motivo e per la drammatica situazione finanziaria di molti club, aggravata dalla crisi dei ricavi dovuta alla pandemia, si reclamava a gran voce una modifica strutturale della misura, annunciata quest’anno dall’attuale presidente dell’UEFA Aleksander Ceferin, avvocato e presidente della UEFA dal 2016. Ceferin è di recente intervenuto nel corso del discorso di apertura dell’Assemblea Generale dell’Associazione dei club europei, ribadendo la necessità di una revisione totale del sistema di controllo dei costi, a cui si aggiungeranno altre misure che regoleranno lo squilibrio competitivo.
Il 9 e il 10 settembre ci sarà una riunione importantissima in quel di Nyon, Svizzera, nel quartiere generale della UEFA, per definire il progetto. Secondo le indiscrezioni riportate dal The Times, quotidiano britannico, la UEFA consentirà alle società calcistiche la possibilità di spendere il 65-70% dei propri ricavi sul calciomercato, distribuiti tra le spese per l’acquisizione dei giocatori, le commissioni ai procuratori ed il monte-ingaggi. Tale riforma consentirà non solo maggior libertà ai club di spendere in base alle somme incassate durante la stagione, ma anche più facilità nell’osservazione da parte dell’organo di controllo preposto. È prevista inoltre una “Luxury Tax”, misura presa in prestito dall’NBA seppur con delle differenze sostanziali, per chi spenderà più del previsto. La somma verrà redistribuita successivamente tra i club più virtuosi.
Nonostante il piano non sia ancora stato approvato, le critiche non si sono fatte attendere. Non è difficile immaginare che il nuovo Fair-play finanziario possa costituire un incentivo alle plusvalenze forzate, ovvero a vendere dei giocatori ad un prezzo molto più elevato rispetto al loro effettivo valore, al solo scopo di consentire ai top club europei di continuare ad eludere i paletti della UEFA e a perpetuare il loro sistema di dominio sportivo ed economico.