Ucraina tra Russia e NATO: scoppierà la guerra?

Nelle ultime settimane l’attenzione mediatica si è concentrata sulla delicata situazione dell’Ucraina: il Paese è oggetto di contesa tra NATO, disposta ad accoglierla all’interno dell’organizzazione, e Russia, contraria a tale ipotesi. La tensione cresce con il passare dei giorni e la notizia che circola con più intensità riguarda la possibilità che scoppi effettivamente una guerra. Ma è realmente possibile?

La causa di questo conflitto

Come precedentemente annunciato, causa principale della discordia è l’ipotesi di entrata di Kiev nella NATO. Se, da un lato, i membri del Trattato Atlantico si dimostrano a favore dell’intenzione ucraina, Mosca ne è fermamente contraria.

Appare evidente il piano russo consistente nel ricreare, pezzo dopo pezzo, quella sfera di influenza andata – solo formalmente – perduta con lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Ecco che il governo di Putin lamenta l’espansione della NATO verso Est, invitando a lasciare fuori i Paesi dell’ex blocco sovietico – in evidente contrasto con la politica della “porta aperta” dell’organizzazione.

 

Le cause storiche

Le ragioni alla base delle tensioni affondano le loro radici allo scoppio della c.d. “crisi del Donbass” nel 2014 quando, il 23 febbraio dello stesso anno, il presidente ucraino e filo-russo Janukoviç viene sostituito in favore di un’amministrazione di stampo filo-occidentale.

Ne scaturisce lo scoppio di una guerra civile e la dichiarazione secessionista e di indipendenza della Repubblica Popolare di Donetsk (RPD) e della Repubblica Popolare di Lugansk (RPL) – entrambe non riconosciute da ONU e Unione Europea – nella zona ad Est del Paese.

Il conflitto cessa ufficialmente con la firma dei due Protocolli di Minsk, i quali – siglati da RPD, RPL, Ucraina e Russia sotto la supervisione dell’OSCE e approvati da Francia e Germania – prevedevano essenzialmente un “cessate il fuoco”, costantemente trasgredito

Quasi contemporaneamente la Russia annette la penisola della Crimea, dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del parlamento crimeano nei confronti dell’Ucraina: viene creato così il circondario federale della Crimea.

In data 29 marzo 2021 il Generale Khomchak, Capo di Stato Maggiore della Difesa di Kiev, ha espresso la propria preoccupazione per la concentrazione anomala di battaglioni russi appostati lungo il confine tra i due Paesi e in Crimea.

Nonostante forti dichiarazioni da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, il Cremlino ha continuato ad autorizzare “esercitazioni militari” sulla frontiera.

Anche in quel caso le mosse di Putin possono essere intese come una risposta ai colloqui che erano avvenuti poco tempo prima tra il presidente statunitense Biden e l’omologo ucraino Zelensky.

 

La situazione attuale

In seguito al dispiegamento di oltre 130.000 soldati russi lungo il confine con l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno denunciato l’imminenza di un’invasione, negata a sua volta dal Cremlino.

L’amministrazione Biden, e molti altri stati, ha invitato i cittadini presenti sul territorio ucraino a fare ritorno in patria – come da prassi per tali situazioni a rischio di rapida escalation.

Inoltre, Washington ha dichiarato che non vi è alcuna intenzione di far scoppiare una guerra con la Russia, ma in caso di ulteriori violazioni della sovranità territoriale di Kiev, la NATO sarà pronta ad intervenire.

In data 15 febbraio, il presidente ucraino Zelensky,  con un tweet ha ringraziato gli USA per il sostegno finanziario di 1 miliardo di dollari e per gli ulteriori 3 miliardi stanziati per i progetti in Ucraina – oltre al mezzo miliardo concesso dal Canada.

 

Scoppierà la guerra?

Sebbene l’ipotesi di un conflitto armato suggestioni gran parte delle persone, tale possibilità è piuttosto lontana. In un mondo caratterizzato da una forte interdipendenza e un’imponente globalizzazione, la guerra tra e nei Paesi più influenti non porta risultati positivi per nessuna fazione: il risultato dell’analisi costi-benefici propende a favore degli ingenti danni, economici e materiali, che subirebbero le parti in gioco.

Sono da considerare anche le sanzioni a cui andrebbe incontro il Cremlino, e la conseguente esclusione dal sistema swift per i pagamenti bancari internazionali.

Per questo motivo il comportamento di Mosca, che non può essere definito a tutti gli effetti una sorta di bluff, è da considerare come una risposta ai tentativi – finora ritenuti insufficienti da Putin – di negoziazione.

La via diplomatica resta quindi il mezzo prediletto dalle parti, così come confermato dal Ministro degli Esteri russo Lavrov, il quale ha dichiarato che i colloqui con l’Occidente, per ora insoddisfacenti, proseguiranno.

Anche gli Stati Uniti hanno deciso di mantenere più aperto possibile il canale diplomatico, assicurando una serie di comunicazioni secretate per dimostrare la serietà delle loro intenzioni ma, secondo quanto detto dal Segretario di Stato Blinken, hanno comunque deciso di spostare temporaneamente la sede dell’ambasciata USA da Kiev a Leopoli – cittadina posizionata a nord-ovest, più lontana dal confine russo.

Diversi Paesi europei si sono già mossi o si stanno adoperando sul fronte dei colloqui con Russia e Ucraina: dopo l’incontro tra Macron e Putin, in cui si è ribadita l’importanza di una de-escalation, anche il Ministro degli Affari Esteri italiano Di Maio si è reso protagonista di un incontro, questa volta a Kiev.

Nel frattempo, l’amministrazione Zelensky è stata informata da Washington che un attacco russo potrebbe verificarsi in data 16 febbraio – giornata che è stata scelta da Kiev per celebrare l’unità nazionale – nonostante Mosca smentisca affermando che alcune operazioni di esercitazione militare si sono già concluse e alcuni contingenti militari stanno già facendo ritorno alla base.

 

La posizione dell’UE

L’Unione Europea si trova in una posizione complessa, geograficamente e politicamente incastrata tra Stati Uniti e Russia, divisa tra Paesi russofobi e Paesi più propensi ad accordarsi con il Cremlino.

Come sottolineato da geopolitica.info, la Francia potrebbe sfruttare la situazione di stallo tra NATO e Russia per spingere ulteriormente in direzione di una difesa europea più forte e autonoma, mentre la Germania non ha ancora definito una posizione chiara nella controversia.

Berlino, infatti, ha tuttora in mano il progetto del gasdotto North Stream 2, il quale garantirebbe un flusso più continuo di gas ed energia ai tedeschi ma, allo stesso tempo, accrescerebbe la loro dipendenza dai russi. 

 

Le ricadute sui paesi europei

Proprio sul terreno del gas si gioca un importante scontro: anche a causa della pandemia, i prezzi dell’energia sono cresciuti vertiginosamente, in particolare in Europa.

L’Unione dipende in gran parte dalle forniture di Mosca, che minaccia di chiudere i rubinetti con conseguente effetto catastrofico – è da tenere a mente la forte dipendenza dei Paesi membri dell’UE nei confronti delle esportazioni russe, con un’autonomia energetica europea che non supererebbe un periodo di pochi mesi senza di esse.

In ogni caso una misura così drastica è un’arma a doppio taglio: l’export di idrocarburi verso l’Europa è circa il 60% dell’intera produzione russa, che non può permettersi di interromperla. Washington ha quindi annunciato di avere pronto un piano per sostituire il gas russo importato: ipotesi che appare molto improbabile, specialmente nel breve e medio periodo.

Il Cremlino può invece direzionare l’export verso altri mercati, in particolare rafforzando gli accordi sino-russi: gli Stati Uniti temono, ragionevolmente, l’ampliamento di mezzi quali il gasdotto Power of Siberia, essenziale per gli interscambi tra Cina e Russia.

Un primo approccio di mediazione è stato tentato dal cancelliere tedesco Scholz, il quale ha dichiarato che, al momento, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO non è in agenda.

 

Le prime conclusioni

Si è detto che un conflitto armato, sebbene non possa essere escluso a priori, è al momento poco probabile. Sarà importante che l’Europa funga da intermediario e paciere nel braccio di ferro tra Stati Uniti e Russia.

La soluzione più efficace alla crisi è rappresentata, probabilmente, dall’inflizione di pesanti sanzioni economiche, mantenendo però aperte le relazioni energetiche.

In questo modo si eviterebbe di infrangere norme del diritto internazionale e si rispetterebbe anche la Carta delle Nazioni Unite, così come auspicato dal Segretario Generale dell’ONU Guterres – in particolare nella misura in cui si afferma che le controversie internazionali devono essere risolte con mezzi pacifici.

Infine, se l’Unione Europea e la NATO giocheranno bene le loro carte, entrambe ne potrebbero guadagnare in fatto di credibilità e autonomia. Se l’interdipendenza è un dato di fatto e costituirà, con tutta probabilità, la base delle relazioni globali anche nel prossimo futuro, esiste comunque l’opportunità concreta di sfuggire al controllo e – almeno in parte – all’influenza delle due superpotenze, in favore della costruzione di un dialogo paritario e più funzionale.