Centinaia di donne transgender non hanno potuto lasciare l’Ucraina in quanto considerate di sesso maschile. È quanto riferito dalla BBC: mentre provavano a lasciare il proprio Paese, una volta presentato il passaporto, sono state rimandate indietro. Considerando le attuali regole marziali dell’Ucraina, i cittadini di sesso maschile con un’età compresa tra 18 e 60 anni non possono lasciare il Paese. Un’associazione di beneficenza che ha riportato tali informazioni alla BBC ritiene che circa il 90% di questi soggetti sia stato fermato
Già a inizio marzo ci sono state alcune dichiarazioni di donne transgender a riguardo, come quella della 31enne Zi Faámelu: “Questo non è un posto molto adatto alla comunità arcobaleno. È umiliante. Quindi ho deciso di tenere il mio passaporto, di tenere maschio nel mio passaporto, e ora non posso lasciare questo Paese”. Ciò è stato riportato dalla Cbs News. Nell’intervista della Fondazione Thomson Reuters, la 24enne Valeria Kolosova afferma di non aver tentato la fuga perché teme che non le sia permesso di fuggire a causa della legge marziale. “Ma se rimango a Leopoli, non ci sarà speranza per una vira normale. Non vedo il mio futuro a Leopoli o a Kiev. Ho poche speranze”, ha chiosato la ragazza.
La burocrazia è il principale ostacolo per i transgender
Il processo richiesto per cambiare genere e nome in Ucraina è legato ad una prassi burocratica complessa, per questo motivo molte persone non arrivano a terminarla. Come se non bastasse, questa tematica non sembrerebbe essere ben vista dalla maggior parte della società Ucraina. Come confermato da Olena Ševčenko, fondatrice dell’associazione Insight, i transgender in Ucraina hanno “enormi difficoltà con la procedura di transizione di genere, la conversione o il cambio di documenti e, naturalmente, con l’opinione pubblica poiché nella maggior parte dei casi è estremamente complicato trovare un lavoro se sei una persona transgender”.
L’associazione Insight, come spiegato all’AEC, si occupa di fornire assistenza e supporto alle persone appartenenti alla comunità LGBTQI+ che vivono in situazioni difficili o che sono oggetto di discriminazioni. “Provvediamo un’assistenza legale, medica e psicologica professionale aperta a tutti. E, oltre a preparare e a partecipare a eventi e dimostrazioni, teniamo anche workshop, training e discussioni per un pubblico più ampio”, spiega la stessa fondatrice.