Come la storia ci insegna, il fenomeno della migrazione esiste da sempre, ma mai come negli ultimi decenni è stato argomento di dibattito, spesso con accezione negativa.
È invece un fenomeno che ha diversi risvolti positivi: le migrazioni arricchiscono i paesi che aprono le porte allo “straniero”. Un documento presentato dalle Nazioni Unite sottolinea come “I migranti favoriscano lo sviluppo dell’attività economica, restituendo al territorio più di quanto prendono, e sono ormai largamente dimostrati i vantaggi della migrazione nella capacità di innovazione”.
Negli ultimi anni la portata delle migrazioni internazionali è aumentata: secondo l’ultimo rapporto della IOM il numero di migranti internazionali è di quasi 272 milioni a livello globale.
Per quanto riguarda gli studi sulle migrazioni femminili, i primi li troviamo negli Stati Uniti, a partire dal XX secolo. Da sempre ci restituiscono un’immagine della donna migrante come passiva, arretrata, dipendente e sottomessa.
In Europa le ricerche sulle migrazioni sono arrivate più tardi: solo in seguito alle mutate politiche migratorie appare qualche interesse per le donne migranti e le loro condizioni, con un cambio di rappresentazione: da vittime passive a protagoniste sociali, con ruoli e funzioni centrali.
Un fenomeno interessante è la costruzione di reti organizzate dai migranti ai fini di aiutare, sviluppare e sostenere le loro comunità. Qui le donne sono parte attiva.
Esempi in Europa possiamo trovarli in Germania dove vi sono gruppi auto-organizzati attivi per la lotta al traffico degli esseri umani e al razzismo, in Francia dove alcune associazioni operano per migliorare l’integrazione nella società di accoglienza ed in questo ambito le donne migranti mettono in campo idee, conoscenze, competenze che danno impulso allo sviluppo del rispetto dei diritti umani e dell’uguaglianza di genere. Anche in Belgio un’organizzazione di donne congolesi ha contribuito a incrementare la rappresentanza femminile nelle prime elezioni libere della Repubblica Democratica del Congo.
Di seguito riportiamo storie di donne migranti che, dopo aver lasciato il paese d’origine, hanno lasciato un’impronta nel mondo facendosi strada oltre i confini.
Chinwe Esimai: dirigente finanziario
Quando era ancora adolescente Chinwe Esimai e la sua famiglia dovettero trasferirsi dalla Nigeria agli Stati Uniti. Una volta lì si rese conto che il suo aspetto e il suo modo di parlare la mettevano in difficoltà. Le altre migranti, soprattutto le donne nere, cercavano di dare nell’occhio il meno possibile. Esimai si è laureata in legge all’università di Harvard. Divenuta avvocata, e in seguito docente universitaria, notò che le donne migranti per emergere nel lavoro e nella vita di tutti i giorni, cercavano di nascondere le loro differenze.
A suo avviso però le differenze culturali erano dei punti di forza e di questo voleva convincere le altre donne. In tal senso creò un blog dove le migranti potevano trovare consigli sul tema della leadership, specie nel mondo degli affari. Chinwe Esimai oggi è amministratrice delegata e funzionario capo dell’anticorruzione in un’azienda finanziaria, la prima a ricoprire questo incarico.
Elena Poniatowska: giornalista
Elena Poniatowska nasce in Francia da una famiglia polacca. Aveva circa nove anni quando dovette trasferirsi in Messico per poter fuggire dalla Seconda guerra mondiale. Voleva conoscere meglio il paese che la stava ospitando e si rese conto che non c’era modo migliore se non facendo la giornalista, andando così in giro a porre interrogativi agli abitanti del posto.
Ottenne il suo primo lavoro da reporter a ventun’anni. Era molto attratta da storie che altri colleghi trascuravano: quelle dei poveri, degli indigeni, dei prigionieri e delle donne. Scrisse decine e decine di opere fra saggi, articoli, romanzi, poesie e libri per bambini. Quando i soldati attaccarono i manifestanti pacifici a Città del Messico nel 1968 ebbe coraggio di scriverne, subendo poi diverse minacce.
Il suo libro, “La Notte di Talatelolco”, venne pubblicato in tutto il mondo e divenne un bestseller. Quando il governo cercò di conferirle un premio per il libro, lei rifiutò, affermando che le uniche persone che il governo doveva onorare erano le vittime. Nel 2014 Poniatowska ha vinto il Premio Cervantes, il riconoscimento più importante per gli scrittori in lingua spagnola.
Young Jean Lee: drammaturga
Young Jean e i suoi genitori lasciano la Corea del Sud per raggiungere gli Stati Uniti, stabilendosi in una piccola città dello Stato di Washinton, quando aveva appena due anni. Lei ricorda di essersi vergognata della sua cultura per tutta l’infanzia. La situazione migliorò quando si trasferì in California per frequentare l’università. Per la prima volta si trovò circondata da tanti altri americani asiatici, trovando così un posto dove sentirsi a casa. Si laureò in inglese e passò anni a studiare Shakespeare. Young Jean cominciò a scrivere, frequentò la scuola di specializzazione e in seguito fondò la sua compagnia teatrale per realizzare le proprie opere che esplorano temi quali la razza, l’identità e la politica.
Nel 2018 è diventata la prima donna americana di origine asiatica ad avere prodotto un’opera teatrale a Broadway.
Queste storie ci restituiscono una nuova immagine delle donne migranti, caratterizzata dall’intraprendenza e dal protagonismo sociale, che risulta significativa sia per il diritto di mantenere legami culturali con le proprie radici, sia per la potenzialità di senso e significato dell’esperienza migratoria.