Da un lato vengono organizzate vere e proprie ” gite “, tipo quelle che si facevano alla Reggia di Caserta o alle grotte di Frasassi, ma stavolta presso basi militari come accaduto agli studenti di due scuole del napoletano condotti in visita al comando strategico per l’Europa sud orientale e mediterranea della Nato a Giugliano. Dall’altro vediamo sempre più l’attivazione di Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (i Pcto, l’ex alternanza scuola-lavoro), nati da protocolli di intesa tra rappresentanti dell’esercito e ministero dell’Istruzione, tra uffici scolastici regionali e provinciali e singole scuole.
Viene chiedersi: qual’è il modello educativo alla base di simili percorsi? Nessuno mette in dubbio l’altissima professionalità del nostro esercito, ma salta agli occhi il fatto che esiste il pericolo di familiarizzare con logiche e strumenti vicini ad ideologie securitarie in una fase della vita in cui la formazione dovrebbe vertere su principi diversi e legati alla pace e al pensiero critico, non all’obbedienza fine a se stessa. Inoltre non fa parte della missione della scuola pubblica instaurare l’idea delle armi come possibile orizzonte lavorativo.
Fermo restando dunque il preziosissimo lavoro di militari e forze dell’ordine anche nelle nostre scuole, per la prevenzione di comportamenti violenti, delle dipendenze e per la promozione dell’ educazione alla sicurezza, è opportuno fare una profonda riflessione su questa sorta di alternanza scuola-caserma di cui si parla poco, ma che sarebbe opportuno approfondire visto il difficilissimo periodo che le relazioni internazionali stanno conoscendo in Europa, con una guerra che vede l’Italia sempre più esposta su più fronti. Siamo davvero sicuri che coinvolgere le scuole sia la strada giusta?