Il ritorno delle” Sette Sorelle” in Serie A

A metà settembre parlare di proiezioni e di classifiche è pura utopia, ma le prime giornate di questo campionato stanno già dando le linee guida di come si svilupperà la Serie A 2021/22.

Rispetto alla scorsa stagione, il campionato nostrano è stato privato dei migliori giocatori, poichè venduti al miglior offerente per ragioni economiche (Hakimi dall’Inter al Paris Saint-Germain, Romero al Tottenham), per garantire al giocatore il palcoscenico che merita, come De Paul dall’Udinese all’Atletico Madrid, o per volontà di questi di cambiare aria, anche con modalità eticamente dubbie (Lukaku al Chelsea, Donnarumma al PSG e Ronaldo al Manchester United). Ma allo stesso tempo, per top-player che vanno, ci sono top-manager che tornano: grandi allenatori della scuola italiana, come Sarri alla Lazio, Spalletti a Napoli e Allegri, tornato alla Juventus dopo due anni, sono tornati a sedere sulle “loro” care panchine italiane. Tra tutti, il ritorno più atteso, e mediaticamente importante, è quello di Mourinho, già idolo della Roma giallorossa, di nuovo in Serie A dopo undici anni dallo storico triplete con l’Inter.

Questo scombussolamento delle rose e dei tecnici ha smosso le carte in tavola per quanto riguarda le gerarchie del campionato. A differenza degli altri anni, in questa Serie A nessuna squadra ha i favori del pronostico, situazione che non si presentava ormai da quella che fu l’epoca d’oro del calcio italiano, a cavallo del nuovo millennio. 

In questa stagione, come non veniva fatto da quell’epoca, i giornali sono tornati a parlare delle “Sette Sorelle”: sette squadre che ai nastri di partenza sono una spanna avanti alle restanti, e con la medesima ambizione al successo finale. Originariamente, il gruppo delle “Sorelle” era costituito da Inter, Milan, Juventus, Roma, Lazio, Parma, Fiorentina, mentre questa volta Napoli e Atalanta prendono il posto dei “ducali” e della viola. 

L’Inter, dopo avere avuto il merito di strappare lo scudetto alla Juventus dopo quasi una decade di dominio incontrastato, sembra che non godrà di una corsia preferenziale questa stagione per la corsa al titolo. Infatti, Inzaghi sta riproponendo, con qualche libertà tattica in più, i dettami tattici di Conte, ma a differenza del predecessore, l’ex Lazio non potrà fare affidamento sullo strapotere fisico di Lukaku e sulle sfrecciate di Hakimi. Nonostante ciò, l’amministratore delegato Marotta e il direttore tecnico Ausilio hanno condotto un mercato di ottimo livello, regalando al tecnico innesti di qualità (Dzeko, Correa, Dumfries, Calhanoglu), mentre gli altri elementi della rosa risultano rinvigoriti dallo scudetto cucito sul petto, e alcuni dei quali risultano sempre più top-player a livello mondiale, come Barella, campione d’Europa con Bastoni e Lautaro Martinez, campione d’America assieme a Correa.

La Milano rossonera, già seconda lo scorso anno, prosegue sull’onda di entusiasmo dalla quale è inondata da tutta “l’era Pioli”. In più, il ritorno del pubblico risulta essere un incentivo. Pubblico non più nemico, come risultava essere nell’epoca pre-Covid, ma amico della squadra, un tifo affamato e voglioso di grandi prestazioni. Manifesto della buona aria che si respira nell’ambiente Milan sono gli applausi rivolti a Kessie, che appare reticente dal firmare un nuovo contratto, dopo il rigore fallito contro la Lazio. Gli anni scorsi quelli applausi sarebbero stati sicuramente fischi. In più, gli addii burrascosi di due leader come Donnarumma e Calhanoglu, squisitamente sostituiti dalla società con Maignan e Brahim Diaz, ha portato la squadra a compattarsi ancora di più. Guidati dal leader Ibrahimovic, da Kjaer e dalla presenza di Maldini in dirigenza, ai giocatori è tornata la consapevolezza dell’importanza della maglia che indossano, che oramai a troppi anni mancava per la squadra vincitrice di 7 Champions League.

Spostandoci un po’ a nord di Milano, precisamente a Bergamo l’Atalanta non può più definirsi sorpresa. Infatti, Per la terza stagione consecutiva parteciperà alla massima competizione europea, permettendo a  Gasperini di godere di una rosa non stravolta dal mercato, dai meccanismi assimilati dai giocatori, alcuni dei quali protagonisti all’ultimo europeo (Pessina campione con l’Italia e Maehle semifinalista con la Danimarca). Dopo aver dimostrato la seconda metà dello scorso campionato di poter viaggiare ad alta quota anche senza il Papu Gomez, la Dea non può ritenersi una squadra inferiore rispetto alle altre elencate. Temuta in Italia e in Europa, l’ultimo step a cui è chiamata l’Atalanta è quello caratteriale, l’acquisizione di una consapevolezza che avrebbe dovuta portarla a vincere un trofeo già la scorsa stagione. Gasperini non può più nascondersi.

La grande delusione di inizio campionato è sicuramente la Juventus. Data come favorita dai bookmakers ad agosto, l’addio di Ronaldo e quindi l’addio a 30 gol combinati con gli errori dei singoli, hanno regalato ad Allegri un inizio shock. Questo riduce qualche colpa per la scorsa stagione dalle spalle di Pirlo, ponendola sui membri della rosa. L’acquisto di Locatelli non sembra ancora riempire il vuoto a centrocampo (il tecnico livornese avrebbe rivoluto anche Pjanic). Il parallelismo con l’inizio di stagione del 2015-16 non regge: non è la stessa Juventus, non ha i leader tecnici e caratteriali di quell’anno (tra i tanti: Pogba, Marchisio, Barzagli, Buffon, Evra, Mandzukic), e il livello delle avversarie è molto aumentato rispetto a quegli anni, dove l’unico avversario nobile era il Napoli di Sarri. Inoltre, il caos societario delle ultime stagioni, probabilmente coincidente con l’acquisto di Cristiano Ronaldo e l’addio di Beppe Marotta, vero deus ex-machina della Juventus dei nove titoli, è una novità all’interno del mondo Juve, ad Allegri il compito di trovare una quadra in questa sarabanda.

La geografia del campionato sembra avere spostato il proprio baricentro un po’ più a sud: a Roma e a Napoli si respira aria di grande calcio.

La cura Spalletti nel capoluogo campano sembra aver allievato la delusione del mancato accesso alla Champions League. Seppur non abituato a vincere, il tecnico di Certaldo è un assiduo frequentatore dell’altissima classifica, e soprattutto non incline alla scaramanzia, elemento che più volte nelle ultime stagioni ha fermato i partenopei. Di una nuova convinzione e concretezza sembra pregno questo Napoli, che già nelle prime giornate è riuscito a vincere partite, come quella a Marassi contro il Genoa, dove storicamente sarebbe rimasto bloccato. La vittoria contro la Juventus, ribaltando lo svantaggio iniziale, ha mostrato il dislivello iniziale tra queste due formazioni, oltre a manifestare il fatto che la squadra possa girare perfettamente pure senza Osimhen, bloccato perfettamente dalla retroguardia bianconera, ma anche senza Insigne, ormai vero e proprio totem della città e della squadra.

Arrivando nella capitale, entrambe le rose hanno optato per un cambio tecnico. Sponda biancoceleste, la scelta di Sarri per sostituire Inzaghi definisce un cambio di mentalità totale rispetto alla tradizione degli ultimi anni. Dopo mezzo decennio di difesa a tre, l’ex Napoli e Juventus ha modellato la sua Lazio sul 4-3-3. Come solito, i meccanismi, soprattutto quelli difensivi sarriani necessitano tempo per codificarsi, e ciò potrebbe risultare deficitario soprattutto nella parte iniziale. La rosa, al netto degli innesti di Pedro, del ritorno di Felipe Anderson e l’arrivo di Hysaj, rimane la stessa dello scorso anno. Sarri potrà godere di due dei centrocampisti migliori del campionato, Luis Alberto e Milinkovic-Savic, per il suo gioco qualitativo, e dall’ex scarpa d’oro Immobile davanti. 

La piazza più calda di tutto il campionato risulta senza dubbio quella della Roma giallorossa. Già dall’annuncio di Mourinho a maggio, accolto con murales e cori, il tifo romanista aveva inteso che la musica sarebbe cambiata. Il tecnico portoghese da parte sua, dopo i fallimenti delle ultime esperienze inglesi, ha voglia di tornare a dimostrare chi è veramente, dando alla squadra, già qualitativa, una “cattiveria” agonistica che è risultato il vero elemento mancante della stessa stagione. A sostegno del nuovo centravanti, il londinese Abraham, con il fuoco vivo addosso nelle prime giornate, e Shomurodov pronto a sostituirlo, vi è un parco centrocampisti incredibile, incentrato su Pellegrini. Sempre più capitano, il classe ‘97 è stato incoronato da Mourinho: “Se avessi tre Pellegrini giocherebbero tutti e tree dal Capitano per eccellenza, Francesco Totti. Un ulteriore miglioramento rispetto alla scorsa stagione è costituito dal portiere: Rui Patricio, campione d’Europa 2016, garantisce un quantitativo di gol presi inferiori alla scorsa stagione, e una leadership maggiore per guidare tutta la retroguardia giallorossa. 

Il primo obbiettivo di Mourinho è conquistato: popolo e squadra sono una cosa sola. Anche nella prima giornata di Conference League contro il CSKA Sofia, partita non di cartello quanto possono esserlo altre, ha comunque staccato 30mila ticket, il massimo della capienza nell’era post-Covid. 

Il compito più difficile per Spalletti e Mourinho sarà quello di mantenere bassa la temperatura in ambienti che solitamente, dopo un po’ di giornate che trascorrono ad alta quota, sono soliti surriscaldarsi. 

La corsa al titolo è aperta, e si prospetta un vincitore, detto in maniera allegriana, di “corto muso”, come non siamo più abituati da anni.