In media, un capo di fast fashion viene indossato solo 8 volte prima di essere buttato. Questo avviene per via della grande quantità di indumenti che possediamo e per la loro scarsa qualità, che porta ad un rapido logoramento e perdita di colore dei tessuti. Se il finale è questo, la parte di storia che lo precede è anche peggio.
Inquinamento ambientale e violazione dei diritti umani
Nel 2020, il settore tessile è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo, e il successo del fast fashion in questi ultimi anni, alimentato da uno stile di vita sempre più improntato sul mordi e fuggi all’insegna dell’economicità, ha contribuito al consolidamento di dinamiche improntate al guadagno più che all’eticità di lavoro e salvaguardia ambientale. Ecco solo alcuni degli esempi di lavorazione che sottostanno alla produzione di capi fast fashion, e di implicazioni che ne conseguono:
- Il lavaggio dei prodotti sintetici, le cui fibre sono contenute nella maggior parte di capi di brand di fast fashion in percentuali anche irrisorie, ha portato all’accumulo di più di 14 milioni di tonnellate di microplastiche negli oceani, con un danneggiamento di fauna e flora a livello globale.
- Secondo i dati dell’Agenzia Europea dell’ambiente, si stima che per la produzione di una maglietta in cotone, occorrano 2.700 litri di acqua dolce, pari a quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo.
- Probabilmente, ad aver realizzato parte dei 360 passaggi necessari alla realizzazione di un paio di sneakers sono stati alcuni dei 152 milioni di bambini vittime di sfruttamento minorile nel mondo.
- Anche lo smaltimento dei capi comporta conseguenze cui non possiamo essere indifferenti: come riportato dall’Agenzia Europea dell’ambiente, l’87% degli indumenti usati in Europa vengono inceneriti o portati in discariche a cielo aperto che inquinano il territorio di Paesi in via di sviluppo, come avviene nel deserto di Atacama in Cile.
- Un’indagine di Greenpeace ha rilevato la presenza di almeno una sostanza chimica pericolosa nel 96% dei prodotti di un noto marchio di fast fashion asiatico, compresi capi d’abbigliamento per bambini e neonati.
- Se durante i saldi venisse acquistato tutto ciò che normalmente verrebbe comprato durante l’anno da parte di ogni cittadino UE, verrebbero generati circa 270 kg di emissioni di CO2 a testa.
I saldi estivi rappresentano un volano per gli acquisti impulsivi e non ragionati, incentivati da offerte e sete di quantità più che di qualità. Ci basta sapere che nel 2020 per la produzione di abiti e scarpe sono stati necessari in media 9 metri cubi di acqua, 400 m2 di terreno e 391 kg di materie prime per ciascun cittadino dell’Unione Europea. Se moltiplicati a livello mondiale, i dati non possono che essere sintomatici di un’impronta rappresentativa della tossicità del sistema.