Il tema della giustizia è da sempre argomento dibattuto. Si sente spesso parlare della lentezza dei processi, del problema del sovraffollamento nelle carceri e dell’incertezza cui è sottoposto chi subisce un processo. Queste sono solo alcune delle problematiche che si riscontrano nel nostro Paese, e conducono tutte ad una unica soluzione: il nostro sistema giudiziario ha bisogno di una riforma. Mentre in Parlamento la discussione è già in atto, il Referendum Giustizia del 12 giugno rappresenta sicuramente un ulteriore passo verso il cambiamento.
I quesiti del Referendum Giustizia
I quesiti oggetto del Referendum Giustizia sono cinque. Promossi dai Radicali e dalla Lega, e approvati dalla Corte costituzionale lo scorso febbraio, nello stesso momento in cui quelli sulla Cannabis e sulla eutanasia venivano invece dichiarati inammissibili.
In aggiunta, se prima del 12 giugno la riforma sull’ordinamento giudiziario riceverà l’approvazione anche del Senato, probabilmente tre dei quesiti potrebbero essere annullati. Ciò perché entrerebbero in vigore dei cambiamenti simili o addirittura analoghi a quelli che produrrebbe la vittoria del ‘Sì‘.
Ma andiamo per gradi e analizziamo i quesiti singolarmente.
La separazione della carriera da PM da quella di Giudice
Ad oggi, un magistrato, nel corso della propria carriera, può cambiare fino a quattro volte la propria funzione. Può passare, cioè, da Giudice a PM (pubblico ministero) e viceversa. La funzione del PM è nettamente diversa da quella del Giudice: il primo svolge attività investigativa sulle notizie di reato e rappresenta la pubblica accusa nel processo; il secondo deve prendere decisioni in modo totalmente imparziale.
Se vincerà il Sì, il magistrato sceglierà all’inizio della sua carriera quale funzione svolgere, senza possibilità di cambiarla in seguito.
Lo scopo dei promotori è quello di garantire maggiore indipendenza ed equità tra le due funzioni. Se passerà prima la riforma in Parlamento, la nuova legge ridurrà la possibilità di passaggio ad una sola volta.
Misure cautelari
Circa il 30% delle persone in carcere non si trova lì perché sta scontando una condanna definitiva, ma perché in attesa di giudizio.
Le misure cautelari, infatti, permettono di infliggere una pena – non solo quella detentiva ma anche, ad esempio, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, obbligo di firma, e così via – ancora prima che sia accertata in via definitiva la colpevolezza.
Ovviamente, queste misure sono applicabili solo in casi specifici. In particolare quando, oltre alla presenza di gravi indizi di colpevolezza, c’è motivo di ritenere che l’indagato possa reiterare il reato di cui accusato o commettere altri gravi reati, oppure quando c’è pericolo di fuga o di contaminazione delle prove a suo carico.
Se vincerà il Sì, sarà ancora possibile applicare la misura cautelare quando si ritiene che ci sia il rischio che il soggetto possa commettere gravi delitti, ovvero reati con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale, reati attinenti alla criminalità organizzata o contro l’ordine costituzionale.
La stessa misura, invece, non sarà più applicabile con la motivazione del pericolo di “reiterazione del medesimo reato”, se tale reato sia meno grave e quindi non rientri tra quelli appena elencati.
Inoltre, con la vittoria del Sì non sarà più possibile disporre la custodia cautelare in carcere per il reato di finanziamento illecito dei partiti.
Secondo i promotori, nella maggior parte dei casi la misura cautelare viene applicata per questa ragione. Questo ha comportato un abuso di tale strumento che, almeno in teoria, dovrebbe essere utilizzato solo in caso di emergenza e solo quando il soggetto sia realmente pericoloso. In altre parole, lo scopo dei promotori è quello di ridurre i casi in cui risulterebbe ammissibile limitare la libertà personale di un soggetto ancora prima dell’arrivo della condanna definitiva.
Il divieto di candidarsi
Ad oggi, chi subisce una condanna definitiva per mafia, terrorismo, corruzione e altri gravi reati non può candidarsi alle elezioni comunali, regionali e parlamentari e non può assumere cariche di governo. Inoltre, chi ricopre queste cariche e riceve una condanna non definitiva per questi reati, viene sospeso automaticamente dal proprio incarico per un massimo di 18 mesi.
Se vincerà il Sì, questo divieto, sia in caso di condanna definitiva che non definitiva, non sarà più automatico e sarà il giudice a decidere caso per caso.
Secondo i promotori, la sospensione automatica anche con condanna non definitiva è dannosa per le persone coinvolte e comporta gravi assenze nelle cariche pubbliche, creando problemi all’apparato statale.
Le liste del CSM
Il quarto quesito riguarda l’elezione dei magistrati all’interno del Consiglio superiore della magistratura. Oggi, se un magistrato vuole candidarsi al CSM, deve raccogliere almeno 25 firme di altri magistrati a sostegno della propria candidatura.
Se vincerà il Sì, il magistrato potrà candidarsi senza bisogno di raccogliere le firme. Se passerà prima la riforma in Parlamento, nemmeno in questo caso ci sarà più bisogno delle firme.
Lo scopo dei promotori – e in questo caso anche della riforma – è quello di ridurre il peso delle c.d. correnti politiche interne al Csm. Senza le firme si dà al candidato la possibilità di mettere in luce esclusivamente le proprie qualità, senza prendere in considerazione anche la propria influenza e, soprattutto, il proprio orientamento politico.
I Consigli giudiziari
Tra le varie funzioni dei Consigli giudiziari, c’è quella di esprimere pareri motivati sulla professionalità dei magistrati. Fanno parte di questi Consigli: magistrati, avvocati e professori universitari.
Se vincerà il Sì, a valutare la professionalità saranno anche gli avvocati e professori, fino ad oggi esclusi. Se passerà prima la riforma in Parlamento, potranno valutare i magistrati anche gli avvocati ma non i professori. Lo scopo dei promotori è quello di rendere i pareri più oggettivi.
L’importanza del voto
Per la validità della consultazione del 12 giugno al Referendum Giustizia, c’è bisogno che almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto si rechi alle urne (c.d. quorum).
I referendum rappresentano un’occasione unica di partecipazione attiva alla vita del Paese. Informarsi e prendere posizione sulle questioni sottoposte è fondamentale per ottenere un sistema in cui ognuno si possa sentire effettivamente rappresentato.