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Ocse, Il reddito reale delle famiglie aumenta ma non in Italia

Il reddito reale delle famiglie in area Ocse aumenta ma non in Italia, è questa la fotografia che emerge dal rapporto, pubblicato ieri, dall’Organizzazione internazionale per lo sviluppo e la cooperazione economica.

Il Rapporto in sintesi

Il Rapporto certifica che “il reddito reale delle famiglie pro capite nell’OCSE è aumentato per il quarto trimestre consecutivo, con un aumento dello 0,5% nel secondo trimestre del 2023”, mentre “il PIL reale pro-capite è cresciuto dello 0,4%”. Tuttavia, il rapporto evidenzia che “tra le economie del G7, il reddito reale delle famiglie pro capite è aumentato in tutti i paesi ad eccezione dell’Italia”. Infatti, nel nostro Paese il potere d’acquisto delle famiglie si è contratto dello 0,3%, stessa sorte ha subito il Pil, anch’esso diminuito dello 0,3%. Opposta, invece, la situazione verificatasi degli altri Paesi: in Germania i redditi familiari sono saliti dello 0,5%, in Francia dello 0,1%, in Gran Bretagna dello 0,9% e negli Stati Uniti dello 0,5%.

Cosa è successo ai salari reali in Italia?

Ora, poiché gli stipendi sono la principale fonte che alimenta il reddito famigliare e i dati Ocse sono espressi al netto dell’inflazione, è lecito chiedersi cosa sia successo ai salari in Italia. La riposta la troviamo nell’ “Employment Outlook” dell’Ocse, pubblicato lo scorso luglio. Secondo l’Organismo sovranazionale,” l’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie Ocse”. Alla fine del 2022, i salari reali in Italia erano calati del 7,5% rispetto al periodo precedente la pandemia, contro una media Ocse del 2,2%. Inoltre, il rapporto sottolinea che il calo dei salari è stato maggiore ai livelli più bassi delle retribuzioni. Infine, l’Italia è l’unico, tra i paesi Ocse, in cui gli stipendi reali valgono oggi meno di 30 anni fa.

 

Crolla il potere di acquisto delle famiglie ma salgono i profitti d’impresa

Le rilevazioni statistiche certificano il progressivo crollo del potere di acquisto delle famiglie italiane, particolarmente rilevante per quelle a più basso reddito.  I rinnovi contrattuali nel nostro Paese sono al ribasso e procedono molto lentamente, e le famiglie italiane sono alle prese con l’aumento dei tassi dei prestiti e dei mutui che erodono il reddito famigliare disponibile. Inoltre, l’inflazione non dà tregua e il carrello della spesa è sempre più caro, le famiglie spendono di più ma comprano sempre meno.

L’Indagine annuale sulle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione, condotta dall’Area studi di Mediobanca, conferma che i “lavoratori risultano la componente maggiormente penalizzata in termini di potere d’acquisto, con una perdita stimata intorno al 22%”. Viceversa, i “profitti di impresa hanno segnato performance decisamente positive, sul fronte della marginalità e della redditività, con utili cresciuti del 26,2%

Insomma, di fronte a questo quadro, sarebbe auspicabile che una parte dei profitti venissero trasferiti a beneficio dei salari, attraverso una stagione di rinnovi contrattuali, e che il Governo attui misure di garanzia a beneficio della solidità delle retribuzioni, come quella del salario minimo. Ma, al momento, la direzione perseguita da Imprese e Governo è quella opposta.