Raccomandazioni da un milione di dollari: il caso Netflix Prize

Quando si parla di personalizzazione dei contenuti è importante comprendere cosa vi sia dietro a questa terminologia. In particolare, quando l’utente naviga sul web o su qualsiasi altra piattaforma online, le informazioni generiche e impersonali rischiano spesso di perdersi e di non fidelizzare l’utente all’utilizzo del prodotto, quindi per facilitare l’incremento di vendite è importante dare l’impressione all’utente che l’azienda lo conosca personalmente, che sia in grado di proporre servizi affini ai suoi interessi. Questa tecnica è possibile grazie all’utilizzo di algoritmi chiamati “Recommender System”, un’importante strategia di intelligenza artificiale capace di fare raccomandazioni agli utenti.

Fondamentale è comprendere la linea sottile tra l’uso lecito e quello illecito dei dati personali e considerare come le grandi aziende utilizzino i dati degli utenti per accrescere il loro potere. Sebbene questa strategia determini plurimi vantaggi, non sempre è stata in grado di dimostrare la sua efficienza. Lo dimostra è il caso di Netflix e il premio da un milione di dollari.

Nel lontano 2010, Netflix era soltanto una compagnia poco nota di noleggio DVD. In quell’anno decise di investire in una piattaforma che fornisse contenuti in streaming on-demand. Decisione che rivoluzionò il mondo moderno facendo entrare in casa Netflix più di 15 milioni di utenti.

L’algoritmo iniziale di Netflix si chiamava “Cinematch”. Permetteva di personalizzare i contenuti tramite l’ausilio delle valutazioni fornite dagli utenti. Risultò fin da subito funzionale in quanto era in grado di soddisfare l’utente al 75%, ma per la compagnia di produzione tale risultato non era abbastanza appagante. Decise quindi di bandire un concorso a premi: il “Netflix Prize”. Lanciato nel 2006, è stata una competizione messa in atto dalla compagnia di produzione con lo scopo di migliorare l’algoritmo di “Cinematch” almeno del 10%. In palio c’erano 1 milione di dollari e il vanto di poter migliorare analisi statistiche di grande rilevanza.

Squadre di ricercatori, scienziati e accademici hanno partecipato a questa sfida, tentando il più possibile di migliorare l’algoritmo lavorando con un avanzatissimo set di dati pubblici e di alta qualità. I “Bellkor’s Pragmatic Chaos”, membri del dipartimento di ricerca statistica di AT&T Research, nel 2009 vinsero il premio Netflix presentando un algoritmo e battendo “Cinematch” del 10%.

Questa vittoria è stata rivoluzionaria. Poter studiare un’avanzatissima intelligenza artificiale ed entrare in contatto con dati così rilevanti è stato incredibile per i ricercatori. A seguito di questo grande successo, Netflix ha deciso di proporre un nuovo contest, fornendo nuovi dati ai partecipanti, questa volta più specifici. I dati presi in considerazione in questo caso sono stati demografici e comportamentali, tra cui età degli affittuari, sesso, codici postali e valutazioni di genere. I concorrenti avrebbero dovuto prevedere quali film avrebbero interessato maggiormente gli utenti, grazie all’enorme mole di dati resi disponibili per la ricerca.

Nonostante Netflix adottasse già all’epoca misure rigorose per la protezione dei dati degli utenti, due ricercatori statunitensi risalirono all’identità di alcuni clienti del servizio grazie ai dati forniti. A seguito di questa sconfitta alcuni utenti Netflix intentarono una class action contro la compagnia di produzione. Nonostante il caso sia stato risolto, Netflix ha deciso di non proseguire con il progetto.

È importante notare come la situazione sia cambiata dal 2006. La maggior parte degli utenti ha iniziato a prediligere lo streaming ai DVD, assicurando l’acquisizione di un numero maggiore di dati e consentendo feedback più precisi. La strategia adoperata all’epoca del “Netflix Prize” risulta quasi totalmente superflua al giorno d’oggi. I sostenitori della privacy dei dati non sono stati certamente d’accordo con l’accaduto, sebbene Netflix sia stata sempre diligente nel trattamento dei dati e nella protezione dei clienti. Sulla base di questo caso è spontaneo riflettere sui limiti della privacy, sull’importanza dei dati personali per l’evoluzione di una qualsiasi tecnologia.

Andrew Keen, imprenditore e scrittore angloamericano, alla Next Conference 2011 di Berlino pronunciò delle parole piuttosto rilevanti: “L’enorme massa di dati personali che ogni giorno gli utenti riversano in rete è il nuovo petrolio”. Probabilmente, senza rendercene conto, vendiamo i nostri dati anche in momenti che dovrebbero risultare rilassanti e privati, come la semplice scelta di un film.

I nuovi ed avanzatissimi strumenti tecnologici si presentano nelle nostre case come capaci di regalarci ogni singola tipologia di servizio, appagare i nostri desideri proponendoci un prodotto affine ai nostri gusti. Forse però, è importante chiedersi fin dove sarà in grado di arrivare questa straordinaria tecnologia, fin dove potremmo ritenerci soli.