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Nel 2021 pressione fiscale da record: 159 giorni di lavoro prima di iniziare a guadagnare

Per pressione fiscale si intende la percentuale di reddito dei contribuenti prelevata dallo Stato o dagli enti locali tramite imposte, tasse e contributi, al fine di finanziare la spesa pubblica. Essa è un valore medio perché le scelte della politica in materia tributaria possono colpire diversamente i cittadini, in base alla capacità economica di ognuno di loro.

La nostra Costituzione, infatti, prevede un sistema tributario progressivo: l’importo delle imposte cresce con il crescere del reddito, ovvero dipende dalla capacità contributiva del singolo.

Questo sistema dovrebbe tutelare le classi sociali in difficoltà economica, gravando maggiormente sui ceti sociali più abbienti. Tuttavia, non tutte le imposte hanno un valore che dipende dalla capacità del singolo. Hanno, invece, un valore fisso a prescindere da chi è chiamato a pagarle: si pensi, ad esempio, all’IVA.

Il rapporto tra pressione ed evasione fiscale

Teoricamente, con l’innalzamento della pressione, da un lato la capacità dello Stato di coprire la spesa pubblica aumenta, dall’altro il debito pubblico diminuisce. Ciò determina un generale miglioramento del saldo di bilancio statale. Tuttavia, nel lungo periodo è stato osservato che con il crescere della pressione cresce anche la tendenza all’evasione fiscale.

A parità di condizioni economiche, infatti, se aumenta la pressione, il vantaggio nell’evadere le tasse aumenta insieme ad essa. In termini pratici questo significa che non è sempre vero che ad una pressione fiscale elevata corrisponda una reale crescita delle entrate pubbliche. All’opposto, un valore eccessivamente alto porta quasi sempre al risultato contrario.

Pressione al 43,5 %: il valore più alto mai registrato

Nel 2021 la pressione fiscale, con un valore pari al 43,5 % del Pil, ha raggiunto in Italia i livelli più alti di sempre. Mediamente, un contribuente ha lavorato 159 giorni su 365 solo per pagare tasse e contributi, iniziando a guadagnare per sé solo a partire dal 160esimo giorno.

A determinare tale record storico ha decisamente contribuito la pandemia. L’aumento della pressione fiscale nel 2021 deriva, infatti, dalla crescita del Pil (+6,6%), in netta ripresa dopo la brusca frenata subita nel 2020 a causa del lockdown (-9,9%).

La tendenza, inoltre, risulta migliorata solo leggermente per il 2022. Quest’anno, il c.d. Tax Freedom day, ovvero il giorno in cui i lavoratori smettono di lavorare solo per liberarsi dagli obblighi fiscali, è previsto per il 7 giugno 2022: dopo 157 giorni lavorativi, inclusi i sabati e le domeniche.

Il confronto con gli altri Stati europei

Nel 2021 nessun Paese – ad eccezione della Francia in cui il Tax Freedom day c’è stato 19 giorni dopo di noi – ha registrato un valore più alto di quello italiano. Questo risultato appare in netto contrasto con le problematiche cui l’Italia si confronta quotidianamente. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe di ottenere da un prelievo fiscale e contributivo così alto, la qualità dei servizi pubblici sembra soddisfare sempre meno le aspettative. Inoltre l’età pensionabile non fa che aumentare, creando non poche preoccupazioni per le nuove generazioni.

Malgrado i 159 giorni di lavoro dedicati al pagamento dell’erario, la tendenza a rivolgersi al settore privato piuttosto che a quello statale è in crescita. La percentuale di cittadini che ritengono di ricevere dallo Stato un trattamento proporzionato alle esorbitanti cifre versate a titolo di tasse e contributi è in calo.