Male gaze: facciamo chiarezza!

Negli ultimi anni si è presa sempre più consapevolezza del ruolo della donna nel mondo cinematografico, ormai sono molte le attrici che si ribellano alla iper sessualizzazione del corpo femminile.

Scarlett Johansson dichiarò come un tempo la Vedova Nera, basata sul personaggio di Natasha Romanoff dei fumetti Marvel Comics, fosse vittima di un’eccessiva sessualizzazione, e di come quel personaggio con il tempo sia finalmente diventato “qualcosa di più vero e realistico, perché è quello che il pubblico vuole”.


All’inizio di quest’anno Keira Knightley, durante un intervento al podcast Channel Connects, ha dichiarato che non avrebbe fatto più scene di nudo sotto la direzione di registi uomini accusandoli di male gaze.

Di cosa si tratta? Letteralmente è “sguardo maschile”. Il male gaze è un concetto introdotto nel 1975 dall’accademica e regista Laura Mulvey nel suo saggio “Visual Pleausure and Narrative Cinema”. La Mulvey sviluppò la sua tesi sulla figura femminile, su come quest’ultima viene rappresentata dalla macchina da presa e come questo potesse influenzare la nostra percezione di essa. Parlava di male gaze non tanto per quanto riguarda la sessualità di per sé, ma per farci riflettere su un pattern sociale di un certo tipo di rappresentazione.

Soprattutto nel cinema classico il corpo femminile era spettacolo a prescindere: la regista prende come esempio il film “Gilda” dove l’attrice Rita Hayworth compare sulla scena ed è come se il tempo fosse sospeso. Questo meccanismo si può ritrovare anche con le dive Hollywoodiane, ad esempio con Marylin Monroe, dove si apre il sipario e appare lei, vestita e truccata al suo meglio senza compiere alcuna azione in particolare: è lì solo per essere ammirata.

Il tempo qui è come se si fermasse, in netta contrapposizione con l’idea stessa di cinema, un’idea di movimento. Queste sospensioni spezzano nettamente la narrazione, e il loro unico scopo è quello di permettere di godere della bellezza femminile nella sua completezza.

Tutto ciò non avveniva per puro maschilismo o quantomeno non totalmente: i registi quando sono in procinto di produrre qualcosa cercano di abbracciare il punto di vista del pubblico che gode di maggior potere economico per poterla soddisfare, e se nella nostra società per molti anni il potere economico maggiore, anche semplicemente per il fatto di potersi permettere di andare al cinema, era maschile allora è inevitabile.

Quindi il male gaze è qualcosa di negativo? Come ogni cosa, dipende da come viene utilizzato: di base sicuramente no, in quanto permette di far risaltare la bellezza femminile, ma diviene criticabile quando diventa l’unica forma di rappresentazione o se le scene mostrate tendono ad essere forzate e squallide.

In definitiva questo fenomeno, se utilizzato con circospezione, non è da condannare poiché rientra in quella libertà d’espressione che tanto ha portato il cinema a divenire la settima arte e che in questi ultimi anni si sta inevitabilmente perdendo a causa di un perbenismo, forse eccessivo, che va a condannare con superficialità ogni fenomeno che non rientri nel concetto di “politically correct”.

Il grave errore di Keira Knightley è quello di non analizzare se una scena è male gaze o meno, ma affermare che il male gaze sia solo prerogativa dei registi maschili. Cosa sconfessata dai fatti in quanto abbiamo molti prodotti cinematografici, ma anche letterari, in cui il male gaze è presente e creato da donne.