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LGBTQIA+ nei videogames: a che punto siamo?

La comunità LGBTQIA+ lotta da sempre per l’affermazione della propria identità e per il riconoscimento di diritti che possano consentire ai suoi membri di vivere nelle nostre società senza essere discriminati per il proprio orientamento sessuale o identità di genere. In molte nazioni infatti ancora non sono riconosciute legalmente le unioni civili tra persone dello stesso sesso, e in altre ancora l’omosessualità è illegale e punita a norma di legge. La lotta per i diritti LGBTQIA+ non passa solo tra disegni di legge e manifestazioni in piazza, ma anche attraverso i media che accompagnano quotidianamente la vita delle persone, plasmandone cultura e convinzioni. 

È necessario porre l’accento sul problema della rappresentatività: quanto spesso dei personaggi di finzione vengono descritti o mostrati come non strettamente eterosessuali? Quanti di questi personaggi hanno ruoli centrali o di rilievo in queste opere di finzione e non marginali o di mere comparse? Quanti di questi personaggi hanno una vera tridimensionalità e vengono sviluppati al pari di tutti gli altri invece di essere relegati a semplici macchiette o accozzaglie di stereotipi?

Le opere di finzione di cui fruiamo modellano il modo in cui le persone percepiscono la realtà, specialmente se rientrano in quelle fasce d’età in cui si è più influenzabili. Per diversi anni abbiamo avuto narrative incentrate su figure bianche, etero e prevalentemente di sesso maschile, allo stesso modo di come il nostro mondo per troppo tempo ha affidato quasi solo a questo tipo di individui i ruoli più importanti nelle nostre società.

Si è fatta tanta strada affinché personaggi femminili, neri o appartenenti a minoranze ricoprissero con costanza ruoli principali, di nuovo parallelamente a come col tempo si sono normalizzati il riconoscimento e l’inserimento di queste persone in una società progressivamente meno maschilista e bianca. In questo senso, la corretta rappresentazione delle diversità individuali funziona perché fornisce uno specchio della realtà più veritiero e congruo col mondo in cui viviamo e aiuta a normalizzare ciò che possiamo percepire come diverso da noi.

Il prossimo grosso ostacolo da superare sembra ora essere quello della rappresentatività LGBTQIA+. Laddove ormai in prodotti come film e serie tv si sta prendendo la giusta direzione, il mondo dei videogames finisce per fare da fanalino di coda.

I PRIMI PERSONAGGI LGBTQIA+

Facendo un passo indietro nel tempo, e in apparente contrasto con quanto appena detto, a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 ci sono state le prime due apparizioni di personaggi queer nel mondo dei videogames. Il primo risale al 1988: Birdo, o Strutzi a seconda della localizzazione. Antagonista di Super Mario Bros. 2, Birdo è una creatura rosa che venne descritta nel manuale di gioco come un maschio che però “pensa di essere una femmina”.

Non si sa se questa strizzata d’occhio al mondo della transessualità fosse intenzionale o meno: successivamente infatti la sessualità del personaggio, ormai inserito tra i buoni della serie, venne modificata come “indefinita”. Un passo indietro che però non ha fermato la comunità LGBTQIA+ nel continuare a considerare Birdo come il primo personaggio transessuale nella storia dei videogames.

Appena un paio di anni dopo, tra i nemici affrontabili in Final Fight fece la sua comparsa Poison, una combattente pensata originariamente come donna cisgender, poi diventata transgender. Questo cambio di identità di genere probabilmente fu fatto solo per trovare un compromesso tra la necessità di inserire un avversario dal design diverso dal solito gruppo di energumeni nerboruti e quella di non suscitare polemiche all’idea che i giocatori potessero picchiare nel gioco un personaggio donna. 

Similmente a quanto accaduto per Birdo, anche l’identità di genere di Poison è stata modificata nel tempo: prima si disse che doveva essere considerata una transgender solo in America e cisgender in Giappone, dopodiché subentrò il produttore Yoshinori Ono a specificare che Poison era da considerarsi una transgender pre-operazione in Giappone e post-operazione in Occidente, per poi rimangiarsi tutto lasciando ai giocatori il compito di definirne liberamente la sessualità.

Queste due vicende sono importanti non solo per l’esistenza stessa di questi personaggi, ma anche perché ci aiutano a inquadrare l’industria videoludica in quegli anni: nonostante si prestasse attenzione a queste tematiche, c’era anche tanta confusione su come trattarle.

Spostandoci più in avanti, alcuni piccoli progressi iniziano ad emergere. In saghe come Fable (2004) o Mass Effect (2007) ad esempio possiamo personalizzare il personaggio protagonista non solo esteticamente ma anche in termini di sessualità e rapporti con altri personaggi, avendo quindi la possibilità di fargli avere relazioni omosessuali.

Similmente, in Undertale (2015) troviamo Undyne e Alphys, rispettivamente un’eroina e una scienziata, che possono arrivare a confessare i propri sentimenti l’una verso l’altra e iniziare a frequentarsi, aiutate dal personaggio protagonista che da dietro le quinte le spinge a dichiararsi. Ma anche qui, lo spazio dedicato a queste interazioni è minimo, è relegato ad un solo percorso tra i vari affrontabili nel gioco e alla fine risulta godibile solo come approfondimento dei comprimari piuttosto che come sviluppo di trama vero e proprio.

Anche in Detroit: Become Human (2018) troviamo una coppia lesbica, seppure con un ruolo ancor più marginale nell’economia della storia: in uno degli episodi in cui impersoniamo l’androide Connor, queste due devianti si ritrovano a difendersi da noi nel tentativo di fuggire insieme dal bordello di androidi in cui erano sfruttate, dove si sono incontrate e innamorate, e sta a noi scegliere se lasciarle andare o fermarle.

Altri timidi tentativi di inserire personaggi o tematiche LGBTQIA+ nei videogames si evidenziano nella presenza di alcuni personaggi negli ultimi titoli della saga di Fire Emblem, in un particolare evento di Dragon Quest XI o in una sezione di gioco di Final Fantasy VII – parte che è stata poi modificata nel remake – o ancora nel personaggio di Gwyndolin in Dark Souls, ma si tratta in ogni caso di elementi marginali, tutt’altro che significativi.

Continua ad essere un compito per qualche motivo difficile inserire personaggi non eterosessuali nell’industria videoludica. Sono troppo pochi i tentativi fatti per integrare personaggi e tematiche di questo tipo, e la maggior parte sono poco efficaci o risultano poco convincenti. 

VIDEOGAMES E LGBTQIA+: POCHE ECCEZIONI

Non è insolito vedere anche grandi produzioni inserire qualcosa che in fin dei conti non è altro che un contentino per una comunità che sa far rumore e farsi sentire, nella speranza di placare a monte le eventuali polemiche. Titoli come Life is StrangeLife is Strange: Before the StormTell me Why o The Last of Us – Parte 2 invece sono delle eccezioni che pongono efficacemente l’accento sul mondo queer e omosessuale e trattano degnamente i propri personaggi e la loro sessualità, senza far perdere intensità alla storia né banalizzandone gli sviluppi. Restano però eccezioni. Notevoli sì, ma numericamente insufficienti rispetto alla enorme mole di titoli che ogni anno vengono pubblicati. 

Fattore di cui tenere conto è anche la forza lavoro dietro queste opere, composta anch’essa solo in minima percentuale da membri della comunità LGBTQIA+, che quindi fanno più fatica ad inserirsi nell’attuale mercato per produrre titoli che possano essere eco della propria diversità. Paradossalmente tutto questo è a fronte di una grossa percentuale di consumatori non eterosessuali.