Ha dato vita ad un ampio dibattito pubblico l’operato della maestra di storia, geografia e musica di una scuola elementare di Oristano, sospesa in seguito all’esercizio della pratica discutibilmente laica che consisteva nel recitare un Padre Nostro, un’Ave Maria e realizzare dei rosari di perline insieme agli alunni di una sua classe.
Se da un lato “non si è trattato di un provvedimento dettato da ‘furia iconoclasta’, ma di un iter garantista seguito dall’organo collegiale di competenza”, come affermato da Francesco Feliziani, Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale, dall’altro sono stati numerosi i messaggi di solidarietà nei confronti dell’insegnante, punita con una pena a detta di alcuni sproporzionata.
L’insegnante ha deciso di fare ricorso contro la sospensione di 20 giorni e la decurtazione dello stipendio che la vedono coinvolta, e ha ammesso che una volta rientrata in classe:
“Con la mia quarta io continuerò a far recitare le preghiere. Per me il lavoro con loro è una missione, un dono del Signore e per questo non mi aspettavo tutto questo”.
Due dei genitori della classe di terza elementare, in cui la maestra era supplente, hanno manifestato il proprio dissenso al Dirigente scolastico, che ha ufficializzato la sospensione dell’insegnante a poco più di due mesi di distanza dall’accaduto.
L’insegnante si è giustificata affermando che:
“Sono stati i bambini, il giorno prima delle vacanze di Natale, a chiedermi di recitare l’Ave Maria e il Padre Nostro e io avevo già avuto modo di parlarne con i genitori in precedenza”.
In sua difesa, l’insegnante ha ricordato che tutti i bambini della classe frequentano l’ora settimanale di religione cattolica e che per questo motivo si è sentita legittimata a intrattenere con loro un momento di raccoglimento religioso.
La polemica si è ampliata al punto che nel mirino delle critiche è finito anche l’episodio, smentito dalla professoressa, che la vedrebbe coinvolta in una benedizione rivolta agli alunni attraverso la tradizionale unzione della fronte con dell’olio santo.
“Ho portato l’olio da Medjugorie, l’ho dato ai bambini e loro se lo sono messi l’uno con l’altro, come in un gioco”.
Sono diventati punto focale della discussione anche alcuni post pubblicati sui social attraverso cui l’insegnante ha manifestato le proprie convinzioni politiche e religiose. In particolare, hanno alimentato il dibattito quelli che incitano ad un ridimensionamento della “propaganda gender”, che intercetterebbe e danneggerebbe anche bambini in età prescolare.
Alle critiche verso l’operato della maestra, sono corrisposte altrettante manifestazioni di dissenso nei confronti del provvedimento.
«Se Presidenti degli Stati Uniti democratici e progressisti quali Obama e Biden citano spesso nei loro discorsi Dio, è possibile che in Italia una maestra venga punita con una sospensione di 20 giorni solo perché ha fatto recitare una preghiera in classe? A me sembra, e lo dico senza alcuna posizione ideologica, un’esagerazione.»
Mimmo Turano, assessore all’Istruzione della Sicilia
D’altra parte, è stato fatto notare che i provvedimenti adottati sono conformi alla Legge Brunetta del 2009, che prevede l’obbligo, per coloro cui compete, di portare avanti un’azione disciplinare nel caso di un’ipotetica violazione. Il dirigente scolastico è tenuto a trasmettere le presunte violazioni all’Ufficio scolastico e nel caso in cui questo non avvenisse, diventerebbe passibile a sua volta di un’azione disciplinare.
“Anziché insegnare geografia, storia e matematica, la maestra avrebbe fatto cantare inni religiosi o pregare. E’ quindi una violazione di un obbligo previsto dalla legge. Appena emersa la notizia abbiamo mandato gli ispettori per verificare che la procedura sia stata corretta. Posso soltanto dire che qui non si tratta della recita episodica di una preghiera, ma dalla documentazione si tratta di reiterate preghiere e canti religiosi nelle ore disciplinari.”
Giuseppe Valditara, Ministro dell’istruzione e del merito
Il conflitto tra libertà di espressione e laicità dell’istruzione ha spaccato a metà l’opinione pubblica, al punto da innescare in molti una riflessione non solo politica, ma anche umanamente morale: tra i due valori, in un contesto come quello scolastico, quale dovrebbe prevalere?