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La libertà di parola è in crisi: aumentano i giornalisti incarcerati

Secondo il rapporto annuale pubblicato da ‘Reporters sans frontières’ nel 2021, i giornalisti assassinati in tutto il mondo sono stati 46, il numero più basso degli ultimi 20 anni. Un trend in discesa, considerando anche che è la prima volta dal 2003 che il numero è inferiore ai 50 omicidi. Stessa cosa non si può dire riguardo ai cronisti incarcerati: si è toccato il numero record di 488, di cui 60 donne.

Il podio dei Paesi con più giornalisti incarcerati

In cima alla lista di giornalisti incarcerati si conferma, per il quinto anno consecutivo, la Cina, con 127 detenuti. La situazione è particolarmente peggiorata in seguito alla pandemia, con il governo di Xi Jinping che ha cercato di limitare al massimo le notizie inerenti la diffusione del Covid-19.

Inoltre, la delicata situazione ad Hong Kong, con l’entrata in vigore della discussa legge per la sicurezza nazionale, ha portato all’arresto di più di 10 giornalisti.

Al secondo posto della classifica vi è il Myanmar: 53 giornalisti reclusi a seguito del colpo di Stato con cui i militari hanno ripreso il potere. Chiude il podio della “lista nera” la Bielorussia di Lukashenko, rieletto dopo grandi proteste e accuse di brogli.

La situazione all’interno dell’UE

La stessa RSF ha lanciato l’allarme sull’uccisione dei giornalisti in Paesi dell’Unione Europea: il giornalista greco Giorgios Karaivaz, il quale indagava sulla corruzione nella polizia; il giornalista olandese Peter de Vries, ucciso in un agguato la scorsa estate.

In Italia, circa 20 giornalisti stanno ricevendo protezione della polizia 24 ore su 24, a causa delle intimidazioni e delle minacce di morte ricevute da organizzazioni criminali e reti mafiose.

Da sottolineare anche la situazione in Russia dove, a seguito dello scoppio della guerra con l’Ucraina, il Parlamento ha approvato una legge contro l’informazione libera. Essa prevede condanne fino a 15 anni di carcere per chiunque utilizzi termini quali “invasione” o “guerra”. Centinaia di redazioni, infatti, sono state costrette a chiudere o a ritirare i propri corrispondenti esteri. E questo non è altro che un altro bollettino di guerra. La guerra alla libertà di parola.

Gli sviluppi sul caso Assange e la probabile estradizione

Particolare è il caso legato a Julian Assange. Pochi giorni fa c’è stata una svolta importante nella vicenda del fondatore di WikiLeaks. Il giornalista è conteso tra Gran Bretagna e Stati Uniti, dove è accusato di spionaggio per lo scandalo sulle rivelazioni di documenti top secret.

Infatti, la Westminster Magistrates’ Court di Londra ha ribaltato la sentenza di primo grado, avvicinando di fatto l’estradizione del giornalista previo ordine firmato dal Ministro degli Interni britannica, che pare una formalità. Assange è ricercato negli Stati Uniti con 18 accuse penali dopo che WikiLeaks ha pubblicato migliaia di file riservati nel 2010 riguardo crimini di guerra. Se condannato, l’australiano rischia fino a 175 anni di carcere.

La decisione ha sollevato grandi polemiche, anche in Italia, dove 19 parlamentari di Pd, M5S, Leu e Gruppo Misto hanno inviato alla Ministra dell’Interno inglese Priti Patel una lettera per bloccare l’estradizione di Assange.

La sensazione comune è che spedire quest’ultimo negli USA risulterebbe devastante per il giornalismo d’inchiesta. Come ha dichiarato Amnesty International:

Diffondere notizie di pubblico interesse è una pietra angolare della libertà di stampa. Estradare Assange costringerebbe i giornalisti di ogni parte del mondo a guardarsi le spalle.