Nuova morte sul ring: quando lo sport incontra la fatalità

Nel pomeriggio del 2 settembre è venuta a mancare la pugile Janette Zacarias Zapata. Il 28 agosto l’atleta stava disputando un incontro al GYM Gala International Boxing valido per i pesi welter, contro la pugile Marie Pier Houle. Dopo i numerosi colpi ricevuti nelle prime 4 riprese, l’atleta non si è presentata per il quinto round colta da convulsioni. È stata portata d’urgenza all’ospedale dove è stata messa in coma indotto, ma dopo 5 giorni è deceduta.

 La Houle ha pubblicato sul suo profilo una riflessione dicendosi sconvolta per l’esito dell’incontro. “La boxe comporta molti pericoli” si legge, ma la pugile parla chiaro sul fatto, sottolineando come non sia mai stato nelle sue intenzioni far del male alla sua avversaria. 

Nel mondo degli sport da combattimento non è la prima morte “accidentale”, ma solo l’ultima di una lunga lista che tocca nomi come Davey Moore, campione del mondo dei pesi piuma, morto nel 1963, a cui Bob Dylan ha dedicato la canzone “Who killed Davey Moore?” nella quale accusa i manager, gli organizzatori e il pubblico che frequentemente si manlevano della responsabilità dei fatti accaduti. Fino a casi più recenti come quello di Patrick Day nel 2019, morto a causa di un trauma celebrale conseguente a un K.O dovuto ad un pugno dell’avversario provocatogli 4 giorni prima, caso reso famoso per la forte protesta mediatica che ne è scaturita contro la boxe. Morti che ricordano quanto in alcuni sport sia fondamentale mantenere un livello di attenzione verso il proprio corpo e la propria prestazione sempre molto alto, al fine di scongiurare incidenti fatali.

 Non sempre però le tragedie sono evitabili. Gli eventi drammatici fanno parte della vita e non fa eccezione tanto meno lo sport. Non solo negli sport da combattimento gli atleti possono rimetterci la vita e i dati riportati lo mettono bene in evidenza. In primis negli sport motoristici ricordiamo la morte di Simoncelli in Malesia nel 2011, e nella Formula Uno, ultimo il pilota Jules Bianchi deceduto nel 2015. Anche il ciclismo annota diversi atleti a questa triste lista: nel 2019 il noto ciclista belga, Bjorg Lambrecht, rimasto coinvolto in una rovinosa caduta, viene trasportato d’urgenza in ospedale ma a causa delle condizioni critiche non supera la giornata. Una implacabile scia di morte che tocca anche gli sport più seguiti come il calcio. Quando abbiamo assistito alla rianimazione in campo di Eriksen durante Euro2020 non potevano che riaffiorare tristi ricordi come la morte in diretta di Piermario Morosini nel 2012 durante Livorno-Pescara o la più recente morte di Davide Astori, capitano della fiorentina scomparso nel 2018. 

Lo sport è nato per unire e per stimolare le persone a dare il meglio di sé nelle sfide che si presentano, insegnandoci cosa significa lavorare di squadra e il senso del sacrificio per ottenere un risultato. Anche questi tristi eventi lasciano importanti spunti di riflessione ricordandoci che la morte è parte integrante della vita e che di vita ne abbiamo una sola. La prevenzione e l’attenzione nello sport e nella vita di tutti i giorni sono punti che non possono mai essere messi in secondo piano, indipendentemente dall’obbiettivo che si sta inseguendo