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Il congedo di paternità: Italia fanalino di coda della classifica Europea

Per congedo o permesso di paternità si intende l’astensione dal lavoro da parte del lavoratore-padre. Esso prevede tempistiche che variano da tutta la durata del congedo di maternità fino alla parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in alcuni casi specifici.

In Italia, tutto è partito dal 2012. Nel 2012 è stata introdotta, in via sperimentale, la legge 92 (Legge Fornero). Essa si rivolgeva ai papà-lavoratori con l’obbligo di assentarsi dal lavoro per un giorno entro cinque mesi dal parto. All’interno di tale proposta si potevano aggiungere ulteriori due giorni – facoltativi – per potersi alternare con la madre.

Il principale obiettivo era quello di promuovere una maggiore cultura riguardante una maggiore condivisione dei compiti di accudimento dei figli, per favorire così un accomodamento tra la vita lavorativa e quella familiare.

Questa legge sperimentale, durante l’ultimo decennio ha gradualmente aumentato i giorni di congedo concessi. Nel 2019 si è passati ad una tempistica di quattro/cinque giorni. Nel 2020 da cinque a sette e nel 2021 da sette a dieci.

Nonostante questa estensione possa far sembrare che in Italia si siano fatti dei “passi da gigante”, all’interno dell’Unione Europea il nostro Paese rimane in coda alla classifica dei Paesi più sviluppati sulla tematica inerente al congedo di paternità.

Come funziona in Italia il congedo di paternità: adempimenti necessari, quanto spetta economicamente

Grazie alla nuova misura resa definitiva dalla legge del 30 dicembre del 2021 n.234, a partire dal primo gennaio 2022, i neo-papà sono obbligati a sostenere un congedo pari a 10 giorni entro i primi cinque mesi dalla nascita del figlio.

Per poter usufruire del congedo, il padre ha solamente il compito di comunicare la volontà di sfruttare questo permesso in forma scritta con un preavviso minimo di quindici giorni, indicando inoltre le date prestabilite per la fruizione.

Nel caso in cui il lavoratore, decida di usufruire del periodo facoltativo di congedo, dovrà allegare una dichiarazione della madre, dove viene specificata la volontà di non usufruire dei giorni di maternità spettanti.

Purtroppo, il diritto ai dieci giorni retribuiti non vale per tutti i lavoratori ma solo all’interno dell’ambito privato. All’interno dell’ambito pubblico si è ancora in attesa di un decreto attuativo che sia in grado di individuare gli ambiti e armonizzare questa disciplina.

Come funziona in Europa

Per quanto riguarda l’Unione Europea invece, a partire dal 2019 è stata attuata una direttiva sulla “work-life balance for parents”. Rivolta a tutti i Paesi membri, prevede almeno dieci giorni di “paternity leave” e almeno due mesi di congedo parentale non cedibile, con l’obbligo di adeguarsi a questa disposizione entro i tre anni dall’attivazione.

La sviluppo degli Stati membri sul congedo di paternità per una volta nella storia dell’UE non riguarda la latitudine. Per esempio, uno dei Paesi più sviluppati sul congedo di paternità è la Spagna. Essa garantisce le stesse tempistiche – includendo sedici settimane di cui sei obbligatorie subito dopo il parto – retribuite al 100% ad entrambi i genitori.

Un altro importante esempio per quanto riguarda questa categoria di diritti civili è il Portogallo. In Portogallo si garantiscono venticinque giorni di paternità, di cui venti obbligatori, aggiungendoci poi sei mesi retribuiti almeno all’80%, che i genitori possono dividersi.

Ad aggiungersi alla lista di Paesi che si trovano diversi passi avanti rispetto all’Italia, troviamo anche Svezia, Norvegia e Finlandia. Rispettivamente concedono: otto mesi, di cui tre non trasferibili, pagati per l’80%; quindici settimane che possono salire a diciannove; e cinquantaquattro giorni di congedo di paternità.

Conclusione

Rispetto alla direttiva europea, l’Italia ha deciso di adeguarsi con lo standard minimo. Ciò nonostante l’importanza ai giorni d’oggi di una più equilibrata distribuzioni dei compiti all’interno della famiglia.

La stessa Inps ha sostenuto che in Italia le donne hanno più difficoltà a conciliare lavoro e famiglia rispetto a molti Paesi Ocse.

Il risultato di questa superficialità è evidente nei bassi livelli riscontrabili sia nel tasso di natalità che nel tasso di occupazione femminile. L’inefficienza del nostro Paese dal punto di vista del congedo parentale sta portando all’insistenza di molti gruppi e associazioni che vogliono portare il divario tra i congedi parentali a zero.

WeWorld, un’onlus che garantisce i diritti delle comunità più vulnerabili, ha proposto di estendere la durata del congedo obbligatorio di paternità retribuito all’80% da i dieci giorni attuali a otto mesi, equiparando così i diritti tra padri e madri.

Nonostante alcuni sostengano che tale misura per i padri è un blocco alla carriera, dovrebbe essere sottolineata la stessa problematica anche dal punto di vista femminile. La donna viene spesso dipinta come la figura che necessita maggiormente di accudire i figli e di badare alla casa, mettendo quindi in secondo piano l’aspetto lavorativo.

Con il “sorpasso” del periodo pandemico, sta aumentando sempre di più la speranza di un avvicinamento da parte dell’Italia alle iniziative di Paesi europei più avanzati.