Tra 2012 e 2021 hanno lasciato l’Italia 337 mila giovani della fascia d’età 25-35 anni, di cui 120 mila in possesso della laurea. La percentuale di rimpatri inferiore si registra tra chi ha un titolo di studio più elevato e la zona del Paese che ha subito una perdita maggiore è il Sud, con 157mila giovani emigrati al Nord o espatriati all’estero (Fonte: Istat).
LA FUGA DI CERVELLI
Com’è la vita dei giovani neolaureati in Italia? Semplice, all’estero. La “fuga di cervelli” è un fenomeno che vede protagonisti i giovani che, scoraggiati dalla situazione del mercato del lavoro italiano, decidono di emigrare e portare con sé la competenza e la professionalità acquisite nel Paese d’origine. Con “fuga di cervelli” si intende la migrazione di figure giovani altamente qualificate, che hanno completato il suo percorso di istruzione nel proprio Paese, ma si trasferiscono in un altro per lavorare.
Le mete più ambite dai giovani espatriati sono tutte europee: Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia. Ma il fenomeno della fuga di cervelli non coinvolge solo coloro che decidono di emigrare al di fuori dell’Italia. Infatti, nel 2021 il bilancio nel Nord del Paese per numero di laureati è risultato positivo grazie all’afflusso di giovani dal Sud, regione interessata da perdite più ingenti che contribuiscono allo svuotamento del territorio.
Il fenomeno costa all’Italia l’1% del Pil ogni anno. Agli oneri sostenuti dalle famiglie (circa 165mila € per figlio fino ai 25 anni), si sommano a carico dello Stato (circa 8.500€ per studente all’anno) e le spese della sanità pubblica. Infine, contribuiscono al buco di 14 miliardi i mancati redditi, guadagnati dagli emigrati all’estero (Fonte: report London School of Economics).
L’espatrio di giovani laureati contribuisce ad appesantire le difficoltà che il Paese già affronta, come il calo delle nascite, la mancanza di figure lavorative specializzate e il mancato versamento di imposte allo Stato. Oltre a questo Brain drain, concorre alla carenza di giovani professionisti anche il modesto numero di laureati italiani (il 28% della popolazione), nettamente inferiore alla media europea del 41,6% (Fonte: Eurostat 2020). L’Italia si distingue inoltre per la scarsa capacità di attrarre laureati stranieri, attestandosi al penultimo posto anche della classifica per extracomunitari laureati, davanti alla sola Grecia.
Nel corso degli anni, le politiche attuate dai Governi che si sono succeduti non hanno fatto fronte a questo fenomeno, come testimoniato dalla progressiva diminuzione della spesa pubblica destinata all’istruzione, la cui contrazione è risultata drasticamente più rapida rispetto al calo del numero di studenti.
La mobilità internazionale è un irrinunciabile fattore di vantaggio economico e culturale per i Paesi che spronano i propri giovani ad arricchire le proprie conoscenze e capacità professionali all’estero. La fuga di talenti è però un fenomeno di natura diversa diversa, che trova la sua origine nell’esistenza di un mondo del lavoro statico, esiguamente redditizio e raramente appagante in termini di obiettivi di carriera.
La “fuga di cervelli” rappresenta dunque una perdita non solo economica, ma anche umana, alla quale si potrà porre rimedio soltanto premiando l’impegno di chi vorrebbe poter lavorare nel Paese in cui ha studiato, libero dal pensiero che restare corrisponde, a conti fatti, ad un’occasione persa.