Il 25 settembre tutti gli italiani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento, tutti tranne 4,9 milioni di elettori che non potranno esercitare il loro diritto al voto. Stiamo parlando dei fuorisede, ovvero chi per motivi di studio o di lavoro si trova lontano dal proprio comune di residenza. Per poter votare, infatti, dovranno rientrare nei propri Comuni di residenza, in cui sono iscritti alle liste elettorali. La quasi totalità di essi, però, rinunceranno sia per le difficoltà logistiche che per motivi economici. Difatti, la data scelta, quella del 25 settembre, non aiuta gli elettori che frequentano le università, poiché tale periodo è momento di sessione d’esami e lauree. Inoltre, i fuorisede possono accedere soltanto a sconti parziali sui mezzi di trasporto, con un costo che sarebbe comunque importante.
Quanti sono i fuorisede che non possono votare?
Il problema del voto dei fuorisede esiste dal 2 giugno 1946 – ovvero dalla nascita della Repubblica – e, ad oggi, non è stato ancora risolto. In questo caso si parla di ‘astensionismo involontario‘, poiché la scelta di non recarsi alle urne non è libera ma forzata. Secondo la relazione di una commissione di esperti istituita dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, dal titolo: “Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, in Italia ci sono circa 4,9 milioni di elettori che svolgono la propria attività lavorativa o studiano in luoghi diversi dal proprio Comune di residenza. Parliamo del 10,5 per cento del corpo elettorale. Di questi, in quasi 2 milioni impiegherebbero oltre 4 ore, tra andata e ritorno, per tornare nella propria residenza.
Lo squilibrio riguarda soprattutto le regioni del Sud Italia, dove più di 1,6 milioni di persone non sono più nel loro Comune di residenza per motivi di studio o lavoro. È proprio in queste Regioni che il tasso di partecipazione è più basso.
Il diritto negato
La mancata possibilità di recarsi regolarmente alle urne per i fuorisede implica una grave violazione di un diritto espressamente previsto nella Costituzione. Difatti, l’articolo 3 recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. Deve essere quindi un compito dello Stato rimuovere tale ostacolo, Stato che però, in 76 anni di storia repubblicana, non è ancora riuscito a trovare alcuna soluzione.
Le varie proposte per trovare una soluzione
Negli anni ci sono state diverse proposte da parte delle forze politiche per cercare di trovare una soluzione a questo problema. Il Movimento 5 Stelle aveva proposto di far votare i fuorisede nelle prefetture o anche tramite strumenti digitali. Italia Viva, invece, nella propria proposta aveva inserito la possibilità di permettere a un fuorisede di fare richiesta di ‘trasferimento‘ del voto dal Comune di residenza a quello in cui lavora o studia.
Un’altra proposta è quella del Partito Democratico, con prima firmataria l’ex Ministra per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione Marianna Madia. Questa prevedeva tre requisiti fondamentali per far accedere al voto i fuorisede per motivi di lavoro, studio o motivi di salute legati alla cura di una persona specifica. Se presente in queste categorie, l’elettore presenta domanda almeno 45 giorni prima delle elezioni per poter votare nel luogo in cui si trova. Successivamente, al seggio elettorale sarebbero serviti documento di identità, domanda di richiesta di voto fuori sede e relativa accettazione.
Tutte le varie proposte sono state osteggiate per motivazioni differenti, con l’unico risultato che ad oggi non è ancora stata trovata alcuna soluzione per risolvere il problema.
Un problema tutto italiano e la petizione online
La cosa che fa riflettere è che il nostro Paese è l’unico in Europa, ad eccezione di Malta e Cipro – due Stati comunque molto più piccoli – a non prevedere nemmeno una modalità di voto a disposizione dei fuorisede. Ci sono Paesi che prevedono il voto anticipato presidiato, il voto in un seggio diverso da quello di residenza o il voto per delega. Paradossalmente, è molto più facile per un italiano votare se si è residenti all’estero, grazie alla possibilità di votare nella circoscrizione ‘Estero’ per corrispondenza.
Nei mesi scorsi l’associazione non profit ‘The good lobby’ , insieme al Comitato ‘Io Voto Fuorisede‘ ha lanciato una raccolta firme. Tale petizione ha superato le 20mila sottoscrizioni e chiede di allineare le regole italiane a quelle europee, rimuovendo gli ostacoli al voto di chi non si trova nel Comune in cui è residente. Inoltre, il Comitato ha notificato il ricorso civile contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno, con l’obiettivo di un rinvio alla Corte costituzionale e la dichiarazione di incostituzionalità dell’attuale legge elettorale, nella parte in cui ostacola il diritto di voto dei fuorisede. La prima udienza davanti al tribunale di Genova si svolgerà, però, solamente l’11 novembre, quasi due mesi dopo le elezioni.
In Italia è in corso da anni il dibattito sulla scarsa partecipazione giovanile al voto, che in ogni tornata elettorale tende ad aumentare sempre di più. Il fatto che le istituzioni non trovino una soluzione a questo problema deve far riflettere i nostri politici, i quali devono chiedersi: sono i giovani che hanno perso interesse per la politica, o è la politica a non aver interesse verso le necessità dei giovani?