In occasione della petizione di Change.org per l’introduzione dell’educazione sessuale, affettiva e alla parità di genere, analizziamo la situazione in Italia a confronto con gli altri paesi.
La petizione può essere definita come “una richiesta ad un’autorità – generalmente governativa – o ad un ente pubblico. Nel linguaggio colloquiale, una petizione è un documento sottoscritto da uno o più individui e indirizzato a un ente pubblico o privato.”
Le petizioni sono quindi una risorsa per la democrazia: sono di vitale importanza per la crescita della consapevolezza etica e per quella dei movimenti sociali – e a volte anche per il successo di quest’ultimi; sono un modo per confrontarsi e per mostrare il proprio senso civico. Inoltre, rappresentano un modo per attirare l’interesse mediatico su determinate questioni: un esempio può essere quello delle petizioni per l’educazione sessuale. Queste, in Italia, possono essere indirizzate a varie istituzioni: ai comuni, alle provincie, alle regioni, al Parlamento e persino al Parlamento europeo.
La petizione per l’educazione sessuale in Italia
Dopo l’uscita dell’ultima stagione della serie di Netflix Sex Education, numerose sono state le critiche per i cartelloni pubblicitari, considerati da molti come inappropriati per ricoprire le mura delle città italiane. Queste critiche hanno suscitato nei cittadini la volontà di abolire quegli stereotipi e quei tabù legati alla sessualità e all’identità di genere – argomenti trattati nella serie televisiva – arrivando alla nascita di petizioni per introdurre un insegnamento ad hoc.
Una di queste petizioni è rivolta al comune di Roma e alla regione Lazio e chiede che venga inserita, nel programma formativo delle scuole superiori, una giornata dedicata all’educazione sessuale ed affettiva; inoltre, viene chiesta l’istituzione di uno spazio sicuro online, composto da esperti e da psicologi, che possa aiutare gli studenti, le famiglie e i professori.
È da anni che si discute nel nostro Paese di discriminazione di genere, femminicidio e mancato rispetto di diritti civili: i firmatari di questa petizione, che si può trovare su Change.org, propongono un ulteriore dibattito su questi temi ma, soprattutto, un’istruzione che non si limiti alle sole materie ‘tradizionali’.
Educazione sessuale in Europa
In Policies for Sexuality Education in the European Union, report del 2013 della Direzione generale per le politiche interne del Parlamento europeo, viene sancita l’obbligatorietà di una normativa che comprenda questo tipo di educazione negli Stati membri. Ci sono però dei Paesi che fanno ancora eccezione, come il nostro.
La prima nazione europea ad introdurre questo tipo di insegnamenti è stata la Svezia nel 1955, in quanto Paese privo di pesanti influenze religiose. In generale si iniziano a seguire programmi didattici sul tema non dopo i 12-13 anni, ma questo varia a seconda degli istituti.
In Danimarca l’educazione sessuale è obbligatoria dal 1970 e a partire dal 1991 è stata inserita nei programmi di scuola primaria e durante il primo anno di superiori. Si tratta di un piano avanzato regolato dal Ministero dell’istruzione in cui le scuole possono anche invitare testimoni ed esperti sul tema delle malattie trasmissibili.
Analogamente, in Olanda si inizia in tenera età ad avere accortezza di queste tematiche: i primi programmi nascono negli anni ’60 e sono principalmente due: Relationship and Sexuality per le scuole elementari – quindi per i bambini tra i 4 e i 12 anni – e Long Live Love per i corsi successivi.
Si parla inizialmente di conoscenza del corpo umano, della differenza tra uomo e donna, di nudità, dei cambiamenti durante la pubertà, di amore e amicizia; con l’avanzamento della carriera scolastica si passa quindi a tematiche quali il sesso, l’abuso sessuale, auto-percezione e percezione dell’altro genere.
E in Italia?
In Italia, invece, si prova da più di un secolo – il primo a tentare è stato il Ministro dell’Istruzione Nunzio Nasi nel 1902 – ma non si riesce a superare la commissione dove la proposta dovrebbe essere elaborata, e perciò non si arriva mai alla discussione in Parlamento. Ma la domanda che ci dovremmo porre è: ci sarà mai un momento adatto? È innegabile l’urgenza di parlare e confrontarsi per non sentirsi soli nel proprio sviluppo personale, affettivo e sociale.
