Dove finisce la plastica?

Nel rapporto internazionale del WWF – Responsabilità e rendicontazione, le chiavi per risolvere l’inquinamento da plastica –  viene confermato che dal 1950 la produzione di plastica è aumentata di 200 volte, crescendo del 4% l’anno fino al 2000. Questa non intacca solo il nostro pianeta.

La plastica nel mare

Nei nostri mari sono presenti tonnellate di plastica. Eppure è solo una piccola frazione di quella che buttiamo.
Basti pensare che solo 250 mila, dei 4-12 milioni di tonnellate di plastica, riaffiorano sulla superficie del mare, mentre tutto il resto sembra sparire.

Diversi studi internazionali, presentati durante il meeting della European Geosciences Union a Vienna, hanno confermato che l’erosione, i raggi UV e l’azione microbica degradano la plastica, cambiandone la consistenza.
Questa degradazione della plastica porta a una quantità enorme di frammenti, i quali si depositano sul fondale marino e rimane impossibile recuperarli.

Un modello computerizzato – sperimentato dalla Dr.ssa Alethea Mountford – ha mostrato come ci siano diversi cumuli di plastica a diverse profondità nel Mar Mediterraneo, nell’Oceano Indiano e nelle acque del Sud-est asiatico.
Alcune microplastiche sono state trovate persino nell’intestino di alcuni crostacei residenti nelle Fosse delle Marianne.

La plastica in montagna

Uno studio condotto nel 2018, dall’Università degli Studi di Milano e dall’Università degli Studi di Milano – Bicocca, sul Ghiacciaio di Forni, nel Parco Nazionale dello Stelvio, riporta che ci sono diverse quantità di microplastiche sul ghiacciaio alpino.

È stato ipotizzato, infatti, che nell’intera lingua del ghiacciaio siano intrappolati dai 131 ai 162 milioni di frammenti di plastica.
L’origine di questi frammenti potrebbe essere dovuta dall’inquinamento provocato dagli escursionisti e da alcune masse d’aria che hanno trasportato i frammenti di plastica.

La plastica nel nostro corpo

Un altro studio dell’UNEP (United Nations Environment Programme) conferma che entro il 2050 la massa di plastica supererà quella di tutti i pesci.
Purtroppo, di conseguenza, non sono solo i pesci a ingerire microplastiche, ma anche gli esseri umani.

Infatti, lo studio condotto da United European Gastroenterology, conferma la presenza di microplastiche nell’organismo umano.

I ricercatori della Medical University di Vienna hanno tenuto conto delle abitudini alimentari di un gruppo di 8 partecipanti residenti in diversi Stati, ovvero: Italia, Olanda, Giappone, Finlandia, Polonia, Regno Unito, Austria e Russia.

I partecipanti hanno descritto tutti i loro pasti di una settimana: nessuno era vegetariano, tutti hanno consumato carne e pesce e sono venuti a contatto con la plastica che confeziona i diversi cibi.
Nei campioni delle loro feci, sono risultati tutti positivi alla presenza fino a 9 tipi diversi di microplastiche.
I residui più comuni erano polipropilene, contenuto nei tappi di bottiglie e capsule del caffè. Anche polietilene tereftalato, presente in quasi tutti i contenitori per bevande.

Un ulteriore studio è stato compiuto dalla University of Victoria, in Canada. Pubblicato su Environmental Science & Technology, si conferma che ogni essere umano ingerisce da 39.000 a 52.000 microplastiche all’anno.

I ricercatori si sono concentrati  sulla misurazione dei livelli di particelle di plastica in cibi, bevande, acqua in bottiglia e aria delle città.
Un risultato molto interessante è stato quello riguardante il consumo d’acqua. I soggetti che avevano bevuto acqua in bottiglia avevano ingerito nel loro corpo 90.000 microparticelle di plastica all’anno. Mentre i soggetti che avevano bevuto acqua del rubinetto solamente 4.000.

Raccolta differenziata: una soluzione valida?

La raccolta differenziata cresce sempre di più, dimostrando una particolare sensibilità da parte della popolazione riguardo l’argomento. Se non fosse che, purtroppo, ricicliamo solo una piccola parte dei rifiuti.

Stefano Vignaroli, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, afferma:

Quello che molti non sanno è che gran parte della plastica è difficilmente riciclabile, e che il suo uso crescente rende sempre più difficile smaltirla.

Infatti, l’Italia è uno dei Paesi ai primi posti dell’Europa per il consumo di plastica. Dagli anni ’50 solo il 9% del totale è stato riciclato.
Questo perché alcune tipologie di plastica non sono riciclabili. O meglio, molte volte si ha una perdita economica più rilevante nel riciclare piuttosto che produrne di nuova.
Ogni anno, migliaia di tonnellate di plastica mista lasciano l’Europa per essere smaltite altrove. Soprattutto in Asia, più nello specifico in Malesia.

Rifiuti in Asia

Dall’indagine di Greenpeace, nel 2019 venivano inviati 2.881 tonnellate di rifiuti plastici in Malesia, senza alcuna garanzia del corretto smaltimento.
La Malesia, da qualche anno, si è trasformata in una nuova terra dei fuochi, dove la maggior parte della plastica viene bruciata a cielo aperto.
La condizione di vita degli abitanti è diventata insostenibile. Diverse proteste hanno portato alla chiusura di 155 fabbriche illegali.

Le parole del primario dell’Ospedale cittadino:

Lo stato in cui vivono i cittadini ogni giorno si fa sempre più difficile. Ormai siamo abituati ad alzarci con l’odore della plastica bruciata. Qui il PM 2.5, l’indice delle polveri sottili, supera regolarmente quota 100.

Una notizia impressionante in quanto i limiti accettabili per la salute sono a quota 25, e in una città grande come Milano varia tra i 12 e i 20.

È una condizione inaccettabile per i Paesi asiatici  sopportare  i continui trasporti di rifiuti plastici, non solo dall’Italia, ma da parte di tutto il mondo.

Secondo il responsabile dell’inquinamento di Greenpeace, Giuseppe Ungherese, il primo passo che bisognerebbe compiere, oltre ridurre i nostri consumi, è insistere su uno smaltimento più appropriato dei rifiuti.

Secondo il Regolamento (CE) n. 1013/2006, i Paesi europei dovrebbero spedire i propri rifiuti plastici al di fuori dell’Unione Europea solo per il “riciclo e recupero”.
Inoltre, gli impianti destinatari dovrebbero operare con “metodi ecologicamente corretti”, cioè in conformità di norme in materia di tutela della salute umana e ambientale.
Questa, però, non sembra eguagliarsi con la normativa malese.

Si esprime a tal proposito, la giurista ambientale Paola Ficco:

È un problema condiviso con quasi tutti i Paesi del Sud-est asiatico verso cui esportiamo i nostri rifiuti, per cui l’esportazione dovrebbe essere l’ultima ratio. Inoltre, una società tecnologicamente avanzata deve essere in grado di gestire i propri scarti e se non lo è deve interrogarsi seriamente su quello che sta facendo. Il punto è che i nostri rifiuti plastici non dovrebbero essere spediti all’estero.

Nuova raccolta differenziata: i rifiuti tessili

Dal primo gennaio del 2022 è diventata obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti urbani tessili in Italia. Una misura anticipata di tre anni, in quanto il recepimento del decreto dell’Unione Europea è da attuare entro il 2025.

L’ANCI (Associazione nazionale dei comuni italiani) vuole presentare un emendamento al DL Milleproroghe – approvato dal Cdm il 23 dicembre 2021. Essa chiede di posticipare di un anno l’obbligo della raccolta differenziata dei rifiuti urbani tessili poiché mancherebbero le linee guida del Ministero della transizione ecologica.

Questo regolamento è confermato dall’ “Istituto superiore per la protezione ambientale” che nel dicembre del 2021 ha pubblicato un rapporto sui rifiuti urbani. In questo rapporto può notare che la raccolta differenziata del settore tessile è ancora alle prime armi (l’1% del totale della raccolta differenziata).

Valeria Frittelloni, direttrice del Centro nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare dell’Ispra ha spiegato che i cittadini “dovranno continuare a conferire correttamente i rifiuti negli appositi contenitori, essere sensibilizzati ancora di più sulla questione, e soprattutto dovranno essere facilitati nel trovare i cassonetti e le isole ecologiche in cui buttare abiti e tessuti che dovranno essere presenti in maniera capillare”.

24 consigli per aiutare il pianeta:

  1. Non abbandonare rifiuti sulle spiagge
  2. Non utilizzare prodotti di plastica monouso
  3. Evita di comprare alimenti avvolti in plastica
  4. Evita di utilizzare pellicole di plastica per avvolgere alimenti
  5. Elimina il consumo di gomme da masticare
  6. Non acquistare tè e tisane confezionate
  7. Evita le capsule per caffè
  8. Non utilizzare accendini usa e getta
  9. Evita il fast fashion
  10. Utilizza contenitori per conservare alimenti, possibilmente in vetro
  11. Preferisci una borraccia e riempila dal rubinetto
  12. Utilizza sacchetti riutilizzabili per fare la spesa
  13. Acquista detersivi alla spina
  14. Acquista pannolini lavabili
  15. Utilizza coppetta mestruale
  16. Utilizza uno spazzolino in bambù
  17. Acquista cotton fioc biodegradabili
  18. Utilizza pettini e spazzole in legno
  19. Utilizza il rasoio di sicurezza
  20. Acquista tovaglioli di stoffa
  21. Utilizza pads in tessuto per rimuovere il trucco
  22. Assicurati che nei tuoi vestiti non ci siano le microplastiche
  23. Assicurati che i tuoi cosmetici siano “plastic free
  24. Affidati a brand ecologici