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Divario salariale di genere: l’Italia tra i Paesi europei più virtuosi

Divario salariale: studio e risultati

Nello studio non è stato preso in considerazione solamente il divario salariale, ma anche altri dati, come ad esempio il costo mensile della vita per individuo rispetto allo stipendio nello Stato di riferimento. Questo perché, come hanno fatto notare gli analisti della Blacktower, due Paesi possono avere lo stesso gender pay gap, ma se in uno dei due il costo della vita è più basso, il gap sarà meno sfavorevole per le donne. Seguendo questi criteri, sono stati analizzati 29 Paesi europei per scoprire dove le donne sono più danneggiate a livello economico rispetto ai loro colleghi.

I risultati sono stati a dir poco sorprendenti, dal momento che in cima alla lista non troviamo Stati del Nord Europa, generalmente più che attenti alle questioni sociali, ma la Romania, con un divario retributivo di appena 2,4% – che si associa oltretutto ad un modesto costo della vita mensile. L’Italia presenta un gap di 4,2 punti percentuali, che le garantirebbe un quarto posto nella classifica stilata. La nostra penisola ha però un costo della vita più alto di Paesi in condizioni similari, e questo la fa scivolare al sesto posto nella classifica complessiva che tiene conto di entrambi gli aspetti.

L’interpretazione dei dati: le donne continuano ad essere vittime

Tuttavia, non è tutto oro ciò che luccica. Infatti, l’indicatore non è del tutto preciso: una ridotta differenza retributiva di genere in un Paese specifico non corrisponde necessariamente ad una maggiore uguaglianza tra uomo e donna. In alcuni Stati membri, un divario inferiore può essere collegato ad una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Allo stesso modo, divari più alti possono essere ricondotti ad un’elevata percentuale di donne che svolgono un lavoro part-time o alla loro concentrazione in un numero ristretto di professioni.

Come ha sottolineato un report della Commissione europea del 2019, le donne continuano ad essere vittime di una vera e propria discriminazione, che fa sì che abbiano una retribuzione inferiore rispetto ai colleghi di sesso maschile a parità di qualifiche o di stesse condizioni. Questo perché le donne svolgono mediamente più ore di lavoro domestico rispetto agli uomini, sono più propense ad interrompere la propria carriera professionale per motivi di responsabilità familiare e anche perché sono sovra-rappresentate in settori generalmente poco retribuiti.

Qual è la situazione in Italia?

Vi è ancora una certa resistenza all’ingresso delle donne italiane nel mondo del lavoro, specialmente per coloro che sono già diventate mamme. Lo dimostra il dato secondo il quale il 42,6% delle mamme tra i 25 e i 54 anni risultano non occupate. Secondo il Gender Equality Index, indice definito dall’Unione Europea nel 2013 che valuta la parità di genere in un Paese con un punteggio da 1 a 100 e che si fonda su vari indicatori come il livello di istruzione, la parità di accesso all’occupazione, il gender pay gap, l’Italia si piazza solamente in quattordicesima posizione con un punteggio di 63,50 rispetto ad un punteggio medio europeo che si assesta a 68.

L’uguaglianza salariale di genere è ancora lontana e questo, secondo quanto affermato da uno studio del Parlamento Europeo, va a tutto discapito della crescita economica e della lotta alla povertà. Per questa ragione, le istituzioni statali e comunitarie stanno redigendo degli ambiziosi piani d’azione al fine di ridurre il divario salariale di genere nei prossimi 5 anni. Il tutto a partire da una normativa atta a promuovere la trasparenza degli stipendi che, nella mente dei legislatori europei, dovrebbe contribuire a tal fine.