Il ruolo della dialettica errata nei femminicidi in Italia

Continua ad aumentare in modo incessante la lista dei femminicidi in Italia: per l’Istat, a settembre 2021 sono già 41 le donne vittime di omicidio volontario, uccise tra le mura domestiche da familiari, compagni ed ex. 131 lo scorso anno, 111 nel 2019 e 133 nel 2018.

Cosa porta un uomo alla follia omicida è innazitutto la concezione errata della coppia, dove il termine condivisione viene sostituito dalla possessione; frutto della cultura patriarcale dove la donna è subordinata all’uomo.

Un ruolo importante nella vicenda lo svolge la dialettica: una ricerca condotta dall’Università di Palermo, coordinata dalla sociologa Alessandra Dino, ha rilevato come in alcune cronache giornalistiche, così come nelle sentenze giudiziarie, il termine “gelosia” venga associato alla sfera semantica della morbosità, della possessione, dove sarebbe più adatto parlare di “ossessione”. Ma anche sintagmi come “uccisa per il troppo amore” e “delitto passionale” risultano allo stesso modo fuorvianti, oltre che per la cronaca del caso, per l’utilizzo di espressioni legate all’amore in casi dove la causa è un’altra.

L’errato utilizzo semantico delle parole è dannoso per la concezione che le persone sviluppano apprendendo il significato scorretto delle stesse, perseverando quindi nell’errore. Da ciò si ottiene il mutamento da “gelosia” – un sentimento innocuo e onnipresente nell’equilibrio di una coppia – a “ossessione”: due termini all’origine transitanti su rette parallele che si sono scontrati in quella che si può definire una collisione semantica, a causa dell’utilizzo superficiale del primo. Altre collisioni semantiche hanno luogo in “fedeltà” e “ubbidienza” e in particolare tra “amore” e “possesso”: questi termini vengono utilizzati e concepiti quasi come se il primo fosse insito nel secondo, erroneamente.

In realtà esiste una parola che, se associata alle prime del breve elenco di prima (gelosia, fedeltà, amore), trasforma il loro significato nelle altre (ossessione, ubbidienza, possesso), ed è l’aggettivo “tossico”. La gelosia tossica è la base di una relazione – anch’essa tossica – che spesso può terminare sulle pagine di cronaca nera.    

Un esempio tangibile è avvenuto il 23 agosto in Sicilia nella città dei Malavoglia, ad Aci Trezza, dove Valentina Zappalà, 26 anni, è stata uccisa dall’ex fidanzato Antonino Sciuto, poi impiccatosi. Colpita per strada davanti alle amiche, Zappalà e la sua famiglia da mesi erano perseguitate dall’uomo, il quale non aveva accettato la fine della relazione e la possibilità che lei potesse frequentare altre persone. Inoltre, Valentina aveva ottenuto precedentemente solamente un’ordinanza restrittiva come misura tutelare.

Di fatto, una narrazione sbagliata porta spesso ad un’altra collisione semantica: quella tra “virilità” e “violenza”. Senza voler fare di tutta l’erba un fascio, in Italia, così come nel resto del mondo, sono tristemente presenti molteplici realtà dove l’uomo, per dimostrare la propria mascolinità, decide di fare ricorso alla violenza, non solo per strada, ma soprattutto tra le mura domestiche

A dimostrazione che le parole hanno un ruolo centrale e che un loro sbagliato utilizzo possa portare a gravi conseguenze anche in campo giuridico, lo stesso studio citato in precedenza ha analizzato 370 sentenze emesse tra il 2010 e il 2016 per casi di femminicidio: l’analisi ha rilevato come nel 27,4% dei documenti si faccia riferimento ad una gelosia figlia di “una crisi nella sfera della relazione sentimentale”, quasi a volerne fare un’attenuante per i delitti, piuttosto che un aggravante.