Domenica 13 ottobre, si è conclusa la quattro giorni del primo congresso mondiale dell’ambientalismo antagonista, il “World Congress for Climate Justice”, tenutosi a Milano. Il dibattito si è svolto principalmente presso l’Università Statale di Milano.
Il fronte comune dei principali movimenti ecologisti radicali provenienti da tutto il mondo è partito da Milano, dando vita a una sorta di prima “internazionale dell’ecologismo radicale”. Erano presenti oltre 200 delegati in rappresentanza di decine di sigle attive a livello internazionale, tra queste: Fridays for Future, Extinction Rebellion, Survival International, Yasunidos Ecuador, Rise Up Africa, Ultima Generazione, Ecologia Politica.
I temi del congresso
L’obiettivo che gli organizzatori si erano posti era quello di riuscire a riunire insieme movimenti ecologisti provenienti da tutto il mondo, per parlare, in particolare, di giustizia climatica, capitalismo fossile, patriarcato, discriminazioni, neocolonialismo e migrazioni dei rifugiati climatici.
All’appello degli organizzatori hanno risposto oltre 60 sigle con la partecipazione di circa 250 delegati.
Il dibattito, pur nella specificità delle singole tematiche affrontate, è ruotato attorno alla esigenza di riuscire a mettere a fattor comune le esperienze di lotta che i vari movimenti hanno sperimentato in situazioni ambientali e contesti territoriali estremante diversi fra loro. L’esigenza era quella di confrontarsi, per condividere esperienze e trovare insieme modelli di lotta climatica e opportunità per costruire un fronte comune contro il capitale fossile e la repressione cercando una sintesi tra le varie anime dell’anticapitalismo verde (Ecologia sociale, Eco-marxismo e Anarco-ecologismo).
Il radicalismo ambientale
I temi sviluppati dagli esponenti del radicalismo ambientale mettono in luce l’esigenza di superare una prima fase dell’ambientalismo, contrassegnata dai raduni di massa in nome di un ambientalismo generico e aggregativo, verso la creazione di un movimento molto più radicalizzato, numericamente meno consistente ma con obiettivi e campagne mirate. Gli imbrattamenti degli edifici e delle opere d’arte, i blocchi stradali, le campagne contro le multinazionali del fossile (es #EndFossilFuel) ne sono un esempio.
Questi gesti, a volte estremi, sono indicativi di una inversione di tendenza nella politica ambientalista.
Se con le grandi manifestazioni contro il riscaldamento climatico si perseguiva l’obiettivo di mettere al centro del dibattito politico dei governi lo studio delle strategie per il contenimento del riscaldamento globale, a fronte della mancanza di risposte, di azioni significative e dei continui spostamenti temporali degli obiettivi da raggiungere, ora l’attenzione del radicalismo ambientale si è focalizzata su chi paga la crisi climatica. Il riscaldamento climatico produce disuguaglianze e la giustizia climatica, il transnazionalismo della lotta e la transizione verde sono diventate alcune delle nuove parole d’ordine dell’ambientalismo.
In questo contesto, il fatto che la prossima Cop28 si terrà a Dubai, presieduta dal direttore generale della principale agenzia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti (ADNOC), appare un paradosso.