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Cina: l’instabilità economica di una superpotenza

L’evoluzione del mercato immobiliare

Dal 2007 il governo cinese, cavalcando la crescita economica, ha permesso a colossi immobiliari – come Evergrande – di sviluppare imponenti campagne di costruzione.
Di conseguenza, negli anni successivi, il valore del mercato immobiliare cinese è cresciuto fino a valere il 25% del PIL e ha spinto milioni di persone ad investire nell’acquisto di nuovi immobili, anche prima del loro completamento, ritenendo il mercato del mattone estremamente solido.

La costruzione sfrenata di edifici, non seguendo le leggi di mercato ed essendo, al contrario, regolata dai governi locali, ha portato la Cina ad avere uno tra i tassi di Vacancy più alti al mondo. Situazione che si traduce in vaste zone, completamente costruite e pronte ad ospitare milioni di persone, che ad oggi sono quasi totalmente disabitate.
Tale congiuntura, però, ha portato ad un fisiologico crollo dei prezzi degli immobili, che a sua volta ha avuto come conseguenza una drastica riduzione di oltre il 30% degli investimenti nel settore. Inoltre, la crisi immobiliare ha comportato, in molti casi, il blocco del completamento di immobili già acquistati e ha spinto imprese e colossi dell’immobiliare come Evergrande e Fosun sull’orlo del baratro del default.

Le conseguenze sullo Yuan

Come riflesso della crisi immobiliare, anche l’economia cinese ha rallentato la propria corsa, e, in particolare, lo Yuan – moneta nazionale cinese – a partire dalla metà di aprile ha perso oltre il 12% del proprio valore.
Per far fronte al crollo valutario, il governo, tramite l’azione della PBOC, la banca nazionale cinese, ha deciso di ridurre del 6% le riserve in moneta estera, principalmente dollari, aumentando contemporaneamente quella in Yuan.
Inoltre, è stato richiesto alle imprese che emettono bond per autofinanziarsi di azzerare le emissioni in dollari in favore di quelle in Yuan.

La strategia “zero covid”: da vanto a fallimento

In aggiunta alla latente crisi immobiliare, il governo cinese, dalla fine del 2019, ha affrontato la epidemia di Covid-19 adottando una rigida strategia “zero covid” che ha imposto, anche a fronte di pochissimi casi accertati, dei lockdown totali di milioni di persone, bloccando di fatto intere regioni e aggravando ulteriormente la situazione economica.
Nonostante siano trascorsi oltre due anni dallo scoppio della pandemia, i lockdown continuano a intermittenza, spingendo imprese alla fuga verso l’estero e aumentando costantemente il tasso disoccupazione, che tra i 16 e i 24 anni è aumentato di oltre l’1% rispetto ad inizio anno.
Ad oggi il governo cinese stima una crescita economica per l’anno in corso del 5%, che sebbene sia la più bassa degli ultimi 20 anni, secondo molti esperti appare addirittura sovrastimata.