La Corte di Cassazione ha stabilito che l’aggressione alla reputazione di una persona può essere attuata anche attraverso l’utilizzo di emoticon che, impiegate in maniera impropria, possono costituire uno strumento per compiere diffamazione, quindi un reato. É il caso di un utente di Facebook, condannato a risarcire per i danni alla reputazione la persona ipovedente della quale aveva screditato “i punti di vista”.
L’emoticon incriminata nella sentenza numero 2251 del 2023 rientra tra le più utilizzate nei più disparati contesti, la faccina che ride, inserita dal condannato in un commento in cui faceva riferimento ai deficit visivi dell’offeso. La derisione del difetto fisico, perpetrata attraverso l’utilizzo del simbolo, ha così portato alla condanna per diffamazione.
Secondo la Corte, l’utilizzo dell’emoticon a scopo offensivo costituisce un’aggravante del reato di diffamazione, che differisce dall’ingiuria, considerato che il contesto di proferimento dell’insulto coincide a tutti gli effetti con uno spazio pubblico, come può esserlo un social media. La comunicazione non si limita dunque all’ambito del privato, ma coinvolge anche la sfera pubblica dell’offeso, danneggiandone la reputazione.
LA CARICA DEL SIMBOLO
I simboli nati con l’avvento di internet sono entrati gradualmente a far parte della comunicazione umana, sino a diventarne una costante quotidiana. Se da un lato facilitano la trasmissione del messaggio, umanizzandolo e rendendolo più amichevole, dall’altro questa carica simbolica conferisce loro anche il potere di enfatizzare insulti e ingiurie.
L’emoticon, strumento di per sé innocuo e nato con il fine di arricchire la comunicazione, può diventare protagonista di una condanna per il suo essere catalizzatore di un’offesa.
In un mondo in cui le emoticon stanno sostituendo la comunicazione di emozioni, pensieri e azioni, la condanna della Cassazione riconosce il potere rafforzativo che questi simboli apportano al messaggio testuale, enfatizzandone la violenza o il carattere derisorio, come nel caso di body shaming.
L’offesa costituisce da sempre un mezzo di sottomissione utilizzato per assicurarsi il controllo o il predominio in una situazione in cui manca equilibrio tra le parti. La legge è intervenuta per sottrarre ai leoni da tastiera uno strumento tanto innocuo, colorato, simpatico quanto allusivo. È stata dunque riconosciuta la potenzialità di una risata di troppo, attuata nella direzione di offendere, che sia questa online o offline.