È già diversi anni che molte associazioni si muovono contro il Campus Biomedico Opus Dei di Roma.
Istituto privato di impronta ultracattolica, nella sua Carta delle Finalità, ovvero nel suo Statuto e Codice etico, impone agli art. 10 e 11 che per i propri medici, gli studenti e i docenti sia obbligatoria l’obiezione di coscienza in quanto “la procreazione umana dipende da leggi iscritte dal Creatore nell’essere stesso dell’uomo e della donna, ed è sempre degna della più alta considerazione.” (art.11)
La questione non è passata inosservata.
Risalgono a gennaio 2020 appelli fatti da varie associazioni come Associazione Amica (Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto), Associazione Luca Coscioni e Uaar (Unione degli atenei e degli agnostici razionalisti) che rivolgendosi all’allora Ministro della salute e dell’Università e della Ricerca, chiedevano che al Campus venisse revocato l’accreditamento al Sistema Sanitario Nazionale della scuola di ostetricia e ginecologia.
La motivazione è duplice: oltre ad essere un polo scientifico cattolico è anche una scuola di specializzazione ed il suo ospedale con questi obblighi impedisce agli studenti di essere adeguatamente preparati in quanto la formazione non include l’aborto, la contraccezione e nemmeno la fecondazione artificiale.
Inoltre impedisce la libertà di scelta.
Essendo proibita questa libertà di scelta fondamentale, non viene riconosciuto il diritto di interruzione volontaria di gravidanza come un diritto personale.
L’articolo 10 cita testualmente: “Il personale docente e non docente, gli studenti e i frequentatori dell’Università si impegnano a rispettare la vita dell’essere umano dal momento iniziale del concepimento fino alla morte naturale. Essi considerano l’aborto procurato e la cosiddetta eutanasia come crimini in base alla legge naturale”.
L’obiezione di coscienza imposta è in aperta violazione della legge 194 e gli appelli che sono stati fatti non hanno avuto ancora risposta concreta se non il cambiamento degli articoli in questione ma in maniera che può considerarsi comunque ambigua.
La “nuova” Carta delle Finalità prevede: l’impegno per operare, in tutte le sue dimensioni, secondo il Magistero della Chiesa Cattolica.
Ma in una situazione in cui il Magistero della Chiesa Cattolica fosse in contrasto con la pratica clinica in uno dei campi sopra citati, cosa succederebbe?
Lo Stato non può permettere che strutture che godono di finanziamenti e di accreditamento al Servizio Sanitario Nazionale ledano i diritti delle donne.
La richiesta di verifica da parte dei Ministeri competenti sui requisiti e la completezza della preparazione di futuri medici è ancora aperta. Eliminare l’aggettivo “crimine” all’aborto e sostituirlo con una sudditanza ai principi della Chiesa non cambia la questione.
Il Campus Biomedico di Roma, alle accuse che gli sono state mosse, ha risposto spiegando che la formazione di studenti e specializzandi non viene intaccata, ma è completa. Sicuramente la questione non può però arenarsi così e cadere nel silenzio.
Nel 2021, oltre ad una violazione legislativa, quest’obbligo è un salto nel medioevo.
Un passato dove molte donne erano costrette ad abortire in modi poco sicuri arrivando alla morte, sia della partoriente e spesso anche del bambino. Dove alla morte si arrivava perché nemmeno per problemi di salute era permessa questa pratica. Dove molti bambini non desiderati venivano abbandonati. Dove una donna che restava incinta dopo una violenza sessuale era costretta a vedere sotto i suoi occhi tutti i giorni i frutti di quella violenza, a qualunque età le fosse successo, anche se era poco più che una bambina.
Ma soprattutto dove una donna non poteva far valere la propria volontà, non aveva potere sul proprio corpo e sulle proprie scelte.
In una società moderna e civile non è accettabile e le istituzioni devono intervenire. L’Italia è uno stato laico e imposizioni di questo tipo non possono essere tollerate.