Calcio come business

Calcio: da fenomeno sociale territoriale a business globale

Il passaggio delle società calcistiche italiane da proprietà locali a gruppi internazionali.

Ci sono delle personalità legate al mondo del calcio che, se non amanti dello sport, potrebbero risultare come mero elenco puntato.

Sensi, Mantovani, Berlusconi, Moratti, Agnelli, Ferlaino. Dominatori incontrastati di un’epoca romantica del calcio che non tornerà più.

Se invece provassimo ad aggiungere accanto ad ognuno di loro una definizione, degli aneddoti e degli approfondimenti, quella che all’apparenza sembrava una singola lista, prenderebbe le sembianze di un’enciclopedia.

Descrivere il processo di cambiamento verso cui sta andando incontro l’intero Universo Calcio (già da diverso tempo ormai), e nello specifico la Galassia Italiana, è sicuramente astruso, ma non impossibile da decifrare.

Il calcio italiano degli imprenditori locali

 

Il calcio italiano e più dettagliatamente la Serie A, ha raggiunto il proprio apice con ogni probabilità a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Dopo questo boom ha proseguito poi il proprio tragitto con una parabola discendente sino ai giorni nostri.

Dietro le quinte di questa splendida opera teatrale messa in atto da campioni come Maradona, Gullit, Mancini, Zico e tanti altri, c’erano però dei grandi registi: gli imprenditori che potremmo definire locali. Dei veri e proprio magnate italiani in grado di dare in dono ai propri tifosi sogni ma anche realtà concrete.

 

Ferlaino a Napoli e Berlusconi al Milan

Un esempio lampante in tal senso fu Ferlaino: patron del Napoli per diversi decenni. Riuscì infatti a regalare ad un popolo bistrattato come quello napoletano, il giocatore probabilmente più forte della storia del calcio. Maradona riuscì infatti non solo metaforicamente a ricucire le ferite profonde dei partenopei, ma anche per due volte il tricolore sulla maglia azzurra.

Proprio in riferimento a quegli anni è impossibile non citare il Milan di Silvio Berlusconi e del velenosissimo tridente olandese: Van Basten, Gullit, Rijkaard. O ancora la Juventus di Boniperti, la Sampdoria di Mantovani, in grado di arrivare a vincere lo scudetto e sfiorare il sogno Coppa dei Campioni con i “Gemelli del Gol”.

Tutte queste storie, fatte di successi, fallimenti, gioie e profonde delusioni, hanno avuto un unico comune denominatore: proprietari pronti ad investire per la propria società perché tifosi. Esattamente: ogni singolo nome sopracitato era prima di tutto un tifoso e non un semplice investitore; e chi meglio di un supporter può visceralmente vivere ogni singola emozione regalata da questo splendido universo chiamato calcio? Probabilmente nessuno, ed è stata questa la forza dei successi raggiunti dai club durante quegli anni.

Una vera e propria fusione tra dirigenza, tifo e fede calcistica dei propri colori e blasoni.

Il calcio italiano delle grandi proprietà

Gli anni delle gestioni societarie locali sono ormai terminati da tempo o comunque sono sulla via del tramonto. Nel tragitto lungo e tortuoso che sta portando il calcio della Penisola a diventare anche un business nuove proprietà stanno prendendo il largo. Ciò che è alieno spaventa sempre, ma chissà che non possa rappresentare una rinascita in seguito alle cattive gestioni.

Le holding, le cordate, i gruppi, con ogni probabilità sono il futuro di questo sport: sembra quasi che l’ambiente passionale e fatto di sentimenti genuini vissuto negli anni passati possa diventare asettico e dividere club e tifosi.