Analizzare i femminicidi per non doverli analizzare mai più

Anche morire in quanto donna può essere messo in discussione: Per ogni donna che viene uccisa, un angolo di libertà scompare

Il tremendo epilogo del caso di Giulia Tramontano non deve assolutamente correre il rischio di passare in
secondo piano perché le oltre 120 donne uccise dal 2022 non sono solo un numero. Quello di Giulia non è un caso di cronaca nera a sé stante, ma un chiaro punto di non ritorno.

Nel 2021, secondo i nuovi dati delle Nazioni Unite sui femminicidi, più di cinque donne ogni ora sono state uccise da un membro della famiglia.

Ma il problema di questi dati è che non solo non sono sufficienti per trovare una soluzione, ma neanche per poter analizzare l’emergenza.
Per stessa ammissione di UN Women, è probabile che il numero reale di femminicidi sia decisamente più elevato: almeno quattro 4 morti su 10 nel 2021 non sono state conteggiate in questa macroarea per assenza di elementi sufficienti a collocare in questa categoria gli omicidi commessi. Non possiamo combattere ciò che non riusciamo ad analizzare.
“Per fermare tutte le forme di omicidi di donne e ragazze legate al genere, dobbiamo contare ogni vittima, ovunque, e migliorare la comprensione del femminicidio in modo da poter progettare una prevenzione migliore e più efficace e giuste risposte di giustizia penale”, ha commentato Ghada Waly, direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine.

Definire un femminicidio potrebbe non essere così scontato come sembra: i parametri non sono ancora chiari

Anche definire che cosa sia un femminicidio risulta difficoltoso, soprattutto se il dibattito è ancora impantanato sulla questione dell’includere o meno tale tipologia di crimine nella macroarea degli “omicidi”, troppo generica rispetto a questo fenomeno sociale mosso dalla violenza di genere.
“L’ideologia del privilegio dell’uomo sulla donna, le norme sociali sulla mascolinità, il bisogno […] di far rispettare i ruoli di genere”, questa la definizione tratta dal documento UNODC e UN Women per “Definire statisticamente i femminicidi nel modo più esaustivo possibile”.

In un maldestro tentativo di diversificare e dividere le responsabilità del sistema patriarcale e maschilista che alimenta questo genere di violenze, ci si chiede ancora perché i casi siano in continuo aumento.
In Italia la stampa trasmette messaggi fuorvianti sul come bisognerebbe “insegnare alle ragazze a salvarsi”, una comunicazione che sicuramente non deresponsabilizza i colpevoli, ma rovescia completamente i ruoli cercando di “insegnare alle vittime come non essere vittime”.
La misura di quanto uno Stato sia coinvolto in problematiche sociali come queste è determinato anche dalle risorse che mette in campo per arginarle.
Se il 30% delle 20 mila donne accolte nei centri anti violenza risultano senza reddito a causa dei fondi insufficienti, la strada per vedere migliaia di donne libere liberarle dall’angoscia di essere potenziali vittime di femminicidio è ancora lontana.