Con la storica sentenza n. 27 del 1975 della Corte Costituzionale, la salute della donna e quella dell’embrione o del feto non sono più poste sullo stesso piano. Prima del 22 maggio 1978, se una donna abortiva volontariamente poteva essere punita con una reclusione da due a cinque anni, così come l’esecutore dell’interruzione di gravidanza. Grazie alla campagna referendaria promossa dai Radicali e agli episodi di disobbedienza civile autodenunciati, si diffonde nel Paese una convinta spinta antiproibizionista. Il 22 maggio 1978 arriva la legge 194 in Italia, che consente alle donne di abortire liberamente nelle strutture pubbliche.
45 anni dopo, accedere al diritto ad abortire equivale ad affrontare una corsa ad ostacoli. In Paesi come Svezia e Finlandia l’obiezione di coscienza non è contemplata nelle strutture pubbliche, mentre in Italia il 64,6% dei ginecologi è legittimato a far sì che il diritto di una donna a scegliere per sé e per il proprio corpo non venga rispettato. Il percorso per accedere ad un’interruzione volontaria di gravidanza prevede numerose tappe, le quali non devono costituire motivo di intralcio dati i tempi serrati che la procedura, per legge, deve avere. In caso di regolarità della gravidanza, il tutto deve svolgersi nell’arco dei primi 90 giorni.
- Trovare un consultorio in cui ci sia un ginecologo non obiettore per redigere un documento attestante la richiesta della donna
- Attendere per periodo di riflessione di 7 giorni (ad eccezione dei casi d’urgenza)
- Trovare la struttura pubblica con la strumentazione adeguata
- Trovare anestesista e personale sanitario non obiettore
- Trovare, infine, un ginecologo non obiettore che pratichi l’operazione
La maggior parte delle volte si procede attraverso il metodo chirurgico, poiché la somministrazione della RU486 prevista per il metodo farmacologico, introdotta dall’AIFA nel 2009 e considerata sicura dall’OMS, in molte Regioni è ostacolata da pregiudizi ideologici o per mancanza di formazione degli operatori, che limitano il ricorso al farmaco al 31,8% degli aborti volontari. Fonte: Relazione del Ministero della Salute 2020.
Questo provoca un pendolarismo delle pazienti in cerca di strutture e personale non obiettore. Questo provoca senso di frustrazione e incertezza, senso di colpa innescato da un sistema inadatto a garantire a pieno l’autodeterminazione di una donna.
L’OBIEZIONE DI COSCIENZA
L’articolo 9 della legge 194 sancisce la possibilità del personale sanitario di sollevare obiezione di coscienza. La convinzione più diffusa, retaggio della religione cattolica, è che l’embrione sia una “forma di vita” da salvaguardare, quando invece è comprovato che portare forzatamente a termine una gravidanza comporta ripercussioni psicologiche che una donna in nessun modo dovrebbe essere obbligata ad affrontare.
Ulteriore ostacolo alla pratica è la mancanza cronica di dati. Gli ultimi forniti dal Ministero della Salute risalgono a tre anni fa. La relazione relativa all’anno 2020 riporta il 64,6% di ginecologi obiettori, il 44,6% di anestesisti e il 36,2% di personale sanitario non medico. I numeri, “arricchiti” dalle percentuali medie regionali, non bastano. I dati aggregati non forniscono infatti una fotografia precisa dell’accessibilità all’ivg a livello territoriale.
“L’indagine Mai Dati ci dice che la valutazione del numero degli obiettori e dei non obiettori è troppo spesso molto lontana dalla realtà. Non basta conoscere la percentuale media degli obiettori per regione per sapere se l’accesso all’IVG è davvero garantito in una determinata struttura sanitaria. Perché ottenere un aborto è un servizio medico e non può essere una caccia al tesoro”
Chiara Lalli e Sonia Montegiove, autrici dell’indagine Mai Dati
Un’altra problematica, di natura strutturale, riguarda la gestione delle operazioni per i ginecologi non obiettori. In situazioni di ridotta disponibilità di personale non obiettore, chi è disposto ad eseguire l’operazione si ritrova infatti ad eseguirne in media 1,0 IVG a settimana a livello nazionale, con picchi per singola struttura che arrivano a 9,7 in Abruzzo, 9,9 in Campania e 16,1 in Sicilia.
“Chi fa aborti non fa carriera: trovatemi un primario che ne faccia. In Italia c’è la Chiesa, e finché ci sarà il Vaticano che detta legge il problema ci sarà sempre. E poi perché la maggioranza dell’opinione pubblica – e dei colleghi – considera chi pratica l’ivg come qualcuno da mettere da parte, ginecologi di serie b, che fanno qualcosa di brutto”
Michele Mariano, unico medico non obiettore in Molise andato in pensione nel dicembre 2022
Oscurantismo e ingerenze ideologiche non possono nel 2023 essere ancora uno scoglio nel panorama dell’autodeterminazione femminile. Prima della 194, di aborto clandestino si moriva. Affinché lo stigma sociale smetta di esistere e predominare, occorre educare alla libertà del corpo femminile.
Potete trovare qui una mappa delle strutture ospedaliere e delle farmacie in cui il vostro diritto a non affrontare una gravidanza non sarà giudicato, e soprattutto ignorato.